di Luigi Pizzuto
SANTA CROCE DI MAGLIANO. Dopo la frenesia del Carnevale è di scena la Quarantana. Si tratta di una tradizione secolare fortemente radicata tra le famiglie del centro molisano. Fino all’arrivo della Pasqua questa bambola di stoffa alquanto bislacca trionfa all’interno dell’abitato. Tra un balcone e una facciata, in una via stretta, oppure tra una finestra e l’altra, con le sue penne colorate si gode con entusiasmo il suo pezzo di cielo che nello spazio si ritaglia. La Quarantana non è altro che la personificazione della Quaresima.
Si annuncia così, in paese, con le sue sette penne conficcate in una patata pendente, un lungo periodo di riflessione e di ristrettezza alimentare. La Quaresima si sa segna la conclusione di un periodo carnascialesco che consente a tutti di sentirsi più liberi. Questa curiosa bambola di stoffa appunto ce lo ricorda in piena solitudine nel cielo del paese. Un trionfo di messaggi in questo periodo puntualmente viene assicurato in maniera spontanea da tante famiglie, che portano nel cuore i valori di questa singolare tradizione. Oggi basta fare un giro per le strade di Santa Croce per vedere oltre cinquanta bambole in volo. Coloratissime, nei vicoli stretti, nelle piazze aperte e nel cuore del borgo. La venerazione è forte. Per le pupe in volo c’è un amore particolare. Ognuno la veste come vuole. Secondo i propri gusti. E’ questa la novità rispetto al passato.
Nell’abitato in tanti sono affezionati a questa strana figura che nasce sicuramente dalle radici albanesi del paese. Nel 1744, secondo il Tria, il paese, in virtù delle sue radici arbresche, era denominato appunto Santa Croce dei Greci. Proprio nel centro dell’abitato, appena dopo Piazza Marconi, la Chiesa Greca è tuttora in piedi per segnalare queste origini antiche. Una Quarantana, vestita con i costumi albanesi, è conservata al suo interno per ricordare la storia di questa magnifica tradizione. Un tempo la Quarantana, come vuole il sapere locale, aveva un’anima di stoffa, tutta vestita di nero. Oggi ha cambiato look. Sono le bambole conservate tra le mura domestiche ad essere vestite da Quarantana seguendo spesso la moda contemporanea. Nella tradizione l’innovazione ha fatto sì di farla crescere nelle sue apparizioni. Le sette penne, di oca, di gallina, di pavone oppure di tacchino, conficcate alla patata che porta ai suoi piedi, hanno il compito di scandire le settimane che mancano all’arrivo della Pasqua. Ogni domenica se ne toglie una fino a perderle tutte quante. Una sorta di orologio naturale per segnalare ai pastori e ai contadini provenienti dalla campagna l’arrivo della festa tanto desiderata. La Quarantana è senz’altro la signora del cielo santacrocese.
Tra il Quartetto, il Casale, il quartiere che ruota intorno alla Chiesa di San Giacomo, fino alle ultime case sul tratturo Celano Foggia, con i suoi colori annuncia uno spirito divino coloratissimo. Senz’altro nasconde anche il sussulto di una filosofia arcana. Tra il sacro e il profano. Il fuso che porta in mano ricorda una delle tre Parche che presso i Romani aveva il compito di tessere il destino di ogni singolo essere umano. Si spiegano così i ferri, il telaio e il gomitolo di lana tra le mani. L’aringa appesa oppure una bottiglietta di vino segnalano il periodo di ristrettezza alimentare, durante la Quaresima, che ognuno deve assolutamente rispettare. Il suo guardo è vicino a chi abita il vicinato. E’ vigile e vivo. Conforta. Desta una sorta di silente compagnia nei luoghi troppo spesso abbandonati alla solitudine e all’andamento lento della vita. Oggi con tanti messaggi sale in cattedra. Fa sentire la sua importanza sociale. Dall’alto tante pupe, pupattole e bambole, sparse dunque un po’ per tutto il centro abitato, come si vede dal reportage fotografico, ovunque lanciano non pochi messaggi nei luoghi un tempo molto popolati. Il suo muto parlare strano colpisce. Porta ad orientare lo sguardo col naso all’insù verso l’azzurro. In uno spazio aereo, tra cielo e terra, dove la sua preghiera ci richiama ad un buon comportamento. Quando la Quarantana è vestita da pupa oppure da bambina, come in tanti casi, decisamente rincuora col suo sorriso.
E’ di buon auspicio. Quando invece nel cielo, tra le nuvole grigie o piuttosto scure si mostra come una persona burbera, incute di conseguenza non poca paura. Tutta di nero alimenta il mondo delle tenebre. Tra le Quarantane più tradizionali, che meritano una visita particolare, da segnalare a pochi passi dalla Chiesa Greca quella della famiglia Ciarla, tra Torre Piscone e Torre Licursi. Ogni anno vive i suoi momenti di gloria in un contesto rinnovato nei colori e nei costumi. La scena teatrale che dondola nell’aria richiama l’attenzione di tutti. Lo stesso vale per le Quarantane della Famiglia Foschino a cui si deve il rilancio della tradizione negli anni Sessanta. Quando un unico esemplare veniva portato in trionfo dal cantastorie girovago Pietro Foschini nel cuore dell’abitato, assieme al morente fantoccio di Carnevale che a tarda sera veniva bruciato. Colpisce ancora oggi il suo sorriso a bocca aperta. L’espressione è decisamente ironica. Rievoca il detto latino “castigat ridendo mores” . “Corregge i costumi ridendo”, solo con il sorriso, senza rimprovero o pronunciar parola. Nella sua arcana filosofia la Quarantana è così. Non mancano poi le pupatte della famiglia Licchio, curate nella vestizione, che in terre lontane hanno fatto il giro del mondo. Oggi con soddisfazione tante bambole continuano a spiccare il volo anche grazie a chi nel mondo della scuola ha lavorato sempre per far sopravvivere questa antica tradizione. Radicata tra l’altro in un sapere classico. Negli “Oscilla”, appunto, provenienti da riti cultuali di tipo pagano.
Nella morfologia di questa strana pupatta c’è la cultura di un popolo che abbraccia territori da una sponda all’altra. In definitiva il culto della Quarantana cela dunque tanti segreti e tanti misteri. Ai più sconosciuti. La mano dei bambini, dei giovani e delle anziane poi lo rendono fresco e vivo. Nel paese delle tradizioni questo piccolo regno delle bambole merita senz’altro una visita in questo momento. E tanti scatti. Perché l’elica sospesa in cielo delle penne appese, che gira al primo soffio di vento, è ancora visibile. La scena teatrale c’è. E’ spontanea e naturale. Affascina. Nella sua simbologia allusiva e creativa, come metafora della morte e della vita, per la prima volta è stata rappresentata nelle piazze del Molise dal regista Nicola Macolino. Un murales si vede in bella mostra nella Villa Comunale grazie alla Street Art, promossa da Marianna Giordano, che ha anche il compito di valorizzare le tradizioni locali. La Quarantana guarda dall’alto l’abitato. La sua dimora è il cielo. Senza confini. Aperta al sole, alla pioggia e alla neve. Nella sua dimensione di vita, che dura quaranta giorni, poi non disturba nessuno. Attualmente non si elimina più con un colpo di fucile come si faceva circa un secolo fa. Il suo spirito vitale è appeso a un filo. Nella sua fragilità rincuora. Rianima il cuore del vicinato. E fa, dunque, ben sperare. Porta alla festa che deve ancora arrivare. Nella sua esposizione consente di fare un bel viaggio nella cultura di una identità locale vivace e colorata. Espressione di un sentimento squisitamente popolare. Tra i suoi tanti segreti e misteri tira fuori i sussulti del cuore in vista di un futuro migliore.