LARINO. Emozionante, intenso, vero il saluto fatto alla città e ai larinesi da parte di don Claudio Cianfaglioni che lascia la sua prima parrocchia, quella dove ha sul campo ‘imparato’ ad essere sacerdote del buon Dio “esclusivamente per l’amore che un figlio prova per una madre che è quanto di più naturale e di divino insieme possiamo sperimentare sulla terra”.
Nella basilica cattedrale frentana, questa sera, tante emozioni hanno percorso quelle navate impregnate di storia, i cuori dei tanti larinesi che con la loro presenza hanno voluto testimoniare amore, affetto, vicinanza all’uomo di Dio, giunto da Marino a Larino che per quattro anni ha ‘raccontato’ con i fatti e le parole quella storia di Salvezza che non ha passato ma è continuo presente e scruta l’infinito: la storia di un “Dio ‘scemo’ che ha rinunciato ad essere Dio per farsi uomo”. Un sacerdote che ha saputo vivere Larino, cittadella evangelica posta su un monte e la sua gente innamorandosene insieme alle tradizioni millenarie come la festa di San Pardo. Un profeta moderno che quando arrivò in città, proprio il 14 settembre del 2019, espresse un solo desiderio “portarvi a Gesù”.
Fin dall’introduzione della Santa Messa le corde dei sentimenti risuonavano nella basilica, volti segnati dalla lacrime, parole strozzate in gola ma anche la certezza di un amore vero che il tempo e le distanze non faranno mai venir meno nella consapevolezza che “l’unica cosa che, come cristiani, sappiamo bene è che, sempre e dovunque, siamo chiamati a fare la volontà di Dio. E per farla bene veramente esiste solo il momento presente: il qui e ora dove Lui ci pone! Il passato è affogato nella misericordia di Dio, e il futuro è solo nelle sue mani”.
Ad accompagnare don Claudio nella celebrazione quasi tutti i ministranti della basilica, il coro, i rappresentanti dell’amministrazione nelle persone dell’assessore Giulio Pontico e del consigliere Michele Palmieri, il capitano dei carabinieri Christian Cosma Damiano Petruzzella, i larinesi, piccoli e grandi, gli stessi che in questi quattro anni a Larino, don Claudio ha battezzato, comunicato, sposato, visitato nei momenti del dolore.
Le emozioni poi si son trasformate in lacrime al momento della sua omelia che riportiamo integralmente incuranti di quanti, pigri anche solo di leggere i titoli di un articolo, magari avranno già cambiato pagina. Le omelie di don Claudio sono poesia, sono verità incarnate nel presente, passaggi letterari impregnati di Parola di Dio che millenaria resta attuale, incarnata nel quotidiano delle esistenze di ognuno. Si fa poesia con le parole della sua amata Alda Merini, si fa musicalità letteraria con i passaggi dei suoi autori preferiti, teologia e mistica quando poi cita Chiara Lubich che lui ha avuto la divina avventura di incontrare nella sua esistenza e alla quale deve molto, compresa l’arte di sapersi congedare.
Don Claudio ha esordito, visibilmente emozionato, con un proverbio legato a quanti arrivano a Larino e poi vanno via.
“Larino è un fosso. Chi ci viene si infossa. Chi se ne va è un fesso. Questo proverbio è una delle prime cose che ho imparato quando, quattro anni fa, sono arrivato a Larino. Se questo proverbio dice il vero, stasera – non c’è dubbio – il “fesso” sono io! Sapete quanto io ami le parole e quanto mi piaccia indagarne il significato. Perciò sono andato a vedere sul dizionario la definizione di “fesso”: si dice di persona poco intelligente, sciocca, stupida, scema, imbecille… e così via. Parafrasando, col dovuto rispetto, una nota pagina del Vangelo, potremmo dire che ci sono dei fessi che nascono così dal grembo materno, altri che sono resi tali dagli uomini, altri ancora che si fanno “fessi” per il Regno dei cieli (cf. Mt 19,12). Come dire: scemi si nasce, o si diventa. Ma dipende dal motivo per cui si diventa scemi o si passa per tali davanti agli occhi degli uomini.
Porgere l’altra guancia a chi ti dà uno schiaffo; perdonare fino a settanta volte sette chi ti fa un torto; mettersi all’ultimo posto invece di primeggiare sugli altri; rinunciare alla propria vita; percorrere la via della croce invece che quella del successo… Beh, tutto questo – e molto altro – è da scemi agli occhi del mondo! Ma tutto questo – e molto altro – vuol dire essere cristiani: è Vangelo! Sì, agli occhi del mondo essere cristiani è da scemi!
E Gesù, che per primo ha vissuto così, è – con tutto il rispetto parlando – il più grande scemo della storia. Avete sentito la prima lettura? Paolo ci dice che Gesù, che era nella condizione di Dio, non ritenne tutto ciò un privilegio ma spogliò sé stesso e divenne simile agli uomini (of. Fil 2,6-7). Dev’essere davvero uno “scemo” un Dio che rinuncia ad essere Dio per farsi uomo… quando invece noi uomini, fin dalle origini del mondo, per tuta la vita rincorriamo goffamente I idea di essere come Dio! Chi gliel’ha fatto fare?
Secondo significato che il dizionario riporta della parola “fesso” : ciò che è diviso da un taglio, da uno spacco, attraverso da una fessura. Gesù, che oggi la liturgia ci fa contemplare nell’esaltazione in Croce, è davvero il “fesso” per eccellenza: li in Croce è attraversato dalla spaccatura dell’amore, il suo fianco aperto è la fessura attraverso la quale Cielo e terra si sono riconciliati. In virtù di quella spaccatura, l’uomo può tornare a dialogare con Dio, dentro quella fessura all’uomo è permesso di diventare realmente come Dio, perché Dio s’è fatto uno di noi, fino a morire per noi! Ripeto: chi gliel’ha fatto fare? Dio in Gesù è diventato un “fesso” per noi: un fesso per amore, un fesso d’amore! Non voglio paragonarmi a Gesù – anche se noi cristiani siamo chiamati a ripetere
Lui sulla terra! – però, se stasera passo per “fesso” agli occhi vostri lasciando Larino, vorrei anche io essere un “fesso per amore”: è solo questo il motivo che mi spinge a fare il passo che sto facendo. Non l’amore per la carriera, come qualcuno mi sta troppo generosamente augurando in queste ore; non l’amore per la mia terra di origine nella quale torno; e neppure l’amore per gli studi, che pure sono una componente importante della mia vita… ma esclusivamente l’amore di un figlio per una madre che è quanto di più naturale e di divino insieme possiamo sperimentare sulla terra.
Come cristiano prima, e come sacerdote poi, non posso predicare: onora il padre e la madre; oppure: ama il prossimo tuo come te stesso, senza distogliere gli occhi da quelli della tua casa (cf. Is 28,7) e poi non viverlo io in prima persona ora che le circostanze me lo richiedono chiaramente.
Quattro anni fa, il 14 settembre 2019, esattamente a quest’ora e da questo stesso posto da cui ora vi sto parlando, salutandovi per la prima volta, vi dissi che arrivavo a Larino con un solo desiderio: “portarvi a Gesù?. Non so se ci sono riuscito, non tocca a me dirlo. Come non tocca a me fare ora il bilancio di questi quattro anni vissuti insieme. Ripercorrendoli velocemente con la memoria del cuore, mi vengono in mente “tre P” che ora vi consegno.
La prima P, è la P di Parrocchia. È questa della Cattedrale di Larino la prima parrocchia in cui sono stato nominato parroco. Quando sono arrivato non avevo idea di cosa significasse fare il parroco: in Seminario non ce lo insegnano! Ho imparato da voi e con voi passo dopo passo, con mille limiti ed errori, per i quali vi chiedo ancora una volta sinceramente scusa. La prima Parrocchia: il primo, questo amore non si scorda mai – dice il proverbio – e di questo siatene certi!
La seconda P, è la P di Pandemia. I misteriosi piani di Dio hanno permesso che dopo soli pochi mesi dal mio arrivo a Larino cominciasse quell’esperienza dolorosa che ha bloccato il mondo intero. Quante difficoltà in quei lunghi mesi di buio! Ma anche quanto amore e quanta solidarietà abbiamo sperimentato tra noi. L’amore vero si misura nei momenti di prova: se siamo stati capaci di volerci bene in quella dolorosa circostanza, saremo capaci di volercene per sempre. Anche di questo siatene certi!
Infine, la terza P, la P di Pardo. Prima di arrivare a Larino – non scandalizzatevi non sapevo neppure dell’esistenza di San Pardo, né avevo mai sentito questo nome. In questi anni mi avete travolto col vostro amore per San Pardo, trasformando anche me, mio malgrado, in un suo devoto. Siate certi anche di questo: tutto ciò non lo dimenticherò e in San Pardo, ossia nella comunione coi santi e dei santi, ci ritroveremo sempre ovunque saremo.
Chi vi parla stasera è un “fesso”, un fosso d’amore: mi sento attraversato, cioè, e “ferito” dal vostro amore che sempre ma soprattutto in queste ultimissime settimane mi avete dimostrato in un modo straordinario. Non so se lo merito, ma lo accetto perché so che esso è solo il segno del vostro più grande amore per Dio. Non vorrei contraddire la saggezza secolare dei proverbi, però desidero sinceramente dirvi che per me Larino in questi anni non è stata un “fosso” e, venendoci, non mi sono “infossato”.
Nel fosso si può cadere, e restare infossati è sinonimo di morte: nella fossa della tomba – dice il salmista – non c’è speranza di vita (cf. Sal 87). E di tutto Larino ha bisogno, tranne che di morti viventi chiusi nel fosso della loro mortifera autoreferenzialità! No, Larino in questi anni per me non è stata quel fosso di cui parla il proverbio.
Larino per me è stata la cittadella evangelica posta sul monte (cf. Mt 5,14), da cui guardare le cose dall’alto e dalla quale imparare a rialzare sempre lo sguardo verso l’orizzonte più ampio che tutti ci attende e verso il quale siamo incamminati. Per non restare fermi, per non infossarci nelle nostre piccole certezze! Tanti di voi in questi giorni mi state facondo continuamente questa domanda: “Don Claudio, ma tra un anno torni?”. Non voglio eludere la domanda, lo sapete che sono un tipo schietto (a volte anche troppo!), ma l’unica risposta in questo momento possibile è: “Non lo so!”. Esattamente come non sapevo fino a qualche settimana fa che, dopo soli quattro anni, avrei dovuto oggi lasciare Larino.
L’unica cosa che, come cristiani, sappiamo bene è che, sempre e dovunque, siamo chiamati a fare la volontà di Dio. E per farla bene veramente esiste solo il momento presente: il qui e ora dove Lui ci pone! Il passato è affogato nella misericordia di Dio, e il futuro è solo nelle sue mani.
Salutandovi stasera desidero consegnarvi le parole di una donna, Chiara Lubich, che ho avuto la divina avventura di incontrare nella mia esistenza e alla quale devo molto. È lei che, tra le tante cose, mi ha insegnato anche l’arte di sapersi congedare. È lei che mi ha indicato in Gesù Crocifisso e Abbandonato l’ideale della mia vita. Se Chiara oggi fosse ancora viva, la porterei a Larino e, mostrandole la lunetta del portale di ingresso della nostra Cattedrale le direi: ecco il Dio che mi hai insegnato a seguire, colui che non scappa davanti alla croce ma che proprio in croce e attraverso la croce viene glorificato.
Dunque, scrive Chiara: «Se oggi dovessi lasciare questa terra e mi si chiedesse una parola, come ultima che dice il nostro Ideale, vi direi – sicura d’esser capita nel senso più esatto -: “Siate una famiglia Vi sono fra voi coloro che soffrono per prove spirituali o morali? Comprendeteli come e più di una madre, illuminateli con la parola o con l’esempio. Non lasciate mancar loro, anzi accrescete attorno ad essi, il calore della famiglia. Vi sono tra voi coloro che soffrono fisicamente? Siano i fratelli prediletti. Patite con loro. Cercate di comprendere fino in fondo i loro dolori. Fateli partecipi dei frutti della vostra vita apostolica affinché sappiano che essi più che altri vi hanno contribuito. Vi sono coloro che muoiono? Immaginate di essere voi al loro posto e fate quanto desiderereste fosse fatto a voi fino all’ultimo istante.
C’è qualcuno che gode per una conquista o per un qualsiasi motivo? Godete con lui, perché la sua consolazione non sia contristata e l’animo non si chiuda, ma la gioia sia di tutti. C’è qualcuno che parte? Lasciatelo andare non senza avergli riempito il cuore di una sola eredità: il senso della famiglia, perché lo porti dov’è destinato.
Non anteponete mai qualsiasi attività di qualsiasi genere, né spirituale, né apostolica, allo spirito di famiglia con quei fratelli con i quali vivete. E dove andate per portare l’ideale di Cristo […], niente farete di meglio che cercare di creare con discrezione, con prudenza, ma decisione, lo spirito di famiglia. Esso è uno spirito umile, vuole il bene degli altri, non si gonfia… è la carità vera, completa. Insomma, se io dovessi partire da voi, in pratica lascerei che Gesù in me vi ripetesse: “Amatevi a vicenda… affinché tutti siano uno”». Questa famiglia io ho trovato a Larino! Questa famiglia auguro di diventare sempre di più a Larino! E così sia!“
Un applauso dal cuore ha salutato la fine dell’omelia lasciando che la celebrazione continuasse secondo rituale, almeno fino alla benedizione finale. Altri quattro momenti intensi. Il primo l’ha regalato a don Claudio e all’intera comunità, Domenico Di Caccavo, il ministrante crocifero che ha voluto leggere il suo personale ringraziamento al giovane sacerdote per quanto fatto per lui in questi quattro anni. E poi la lettera aperta che la Comunità Pastorale di Larino ha scritto per il suo parroco, letta, con visibile e ‘rumorosa’ emozione da Maria Antonietta Milanese.
“Carissimo Rev. Don Claudio,
questa comunità Le scrive per esprimere la propria gratitudine per come ha saputo vivere la dimensione del Servizio sacerdotale. Sin dai primi attimi, del suo ministero, ci ha catturato con una spontaneità tipica di chi vive la propria missione con Amore. Nonostante il COVID, si è preso cura della Comunità, pregando e incontrando le famiglie, non facendo venire mai meno il suo sostegno, soprattutto, verso coloro che hanno sperimentato l’isolamento e il lutto! Tante volte ha impartito la benedizione sulla città tutta, chiedendo a Nostro Signore, una paterna protezione e una amorevole assistenza per coloro che vivevano momenti di fragilità.
La nostra Comunità vi ha percepito sempre presente, sempre attento ad ogni esigenza ma, soprattutto, ha percepito la sua volontà di farci crescere come Comunità Cristiana. Come si può dimenticare l’alba dei fratelli Cardinali che, con la loro iniziativa, da lei stimolata e accolta con gioia, hanno saputo infondere speranza ai nostri giovani in un periodo dove si aveva il terrore dello stare insieme. Come non ricordare tutte le attività messe in cantiere intorno alla biblioteca diocesana sempre con il coinvolgimento dei nostri eccellenti ragazzi stimolati da temi attuali e da personaggi di grande rilievo, uno per tutti il cardinale Mario Grech. Ha seminato fede, ha seminato attenzione, ha seminato cultura e statene certo raccoglierà tanto amore che questa Comunità non riuscirà mai a dimostrarle adeguatamente. Ha assaporato il difficile e duro cammino che ogni carriere fa a devozione del Santo patrono.
Lei stesso ha sperimentato la fatica del salire sul carro, non tanto per la scomodità di un mezzo di locomozione ormai superato ma, per la responsabilità che comporta il ruolo di presidente della Pia Associazione. Ha anche assaporato la gioia di suonare i campanacci delle vacche davanti la cattedrale; un gesto che esprime gioia e gratitudine per una festa apparentemente incomprensibile ma che racchiude tanta sacralità e tanto affidamento a chi ha saputo vivere con santità il Vangelo. Ci mancherà di Lei la solennità di ogni celebrazione, l’affabilità nel salutare i fedeli all’uscita dalla messa domenicale, ci mancherà la fraterna partecipazione nella benedizione delle famiglie nascenti, ci mancherà il trasporto con il quale ha battezzato a vita nuova i nostri figli, ci mancherà la sua discreta partecipazione nell’ accompagnare i nostri defunti, ci mancheranno Le sue omelie sempre più incarnate nel quotidiano a dimostrare che la Parola di Dio è sempre attuale. Ci mancherà Lei don Claudio perché ha saputo seminare bene la Parola di Dio e ha saputo farlo non solo con belle parole ma soprattutto con opere concrete. Ha respirato l’aria accogliente di questa Larino e l’ha condivisa anche con le persone a Lei più care.
Con orgoglio vicendevole ci ha presentato la sua cara mamma di cui abbiamo apprezzato un sorriso colmo di serenità poiché consapevole di avere un figlio capace di reggere ogni confronto, confortata nel saperti in ambiente altrettanto amorevole, quasi come quello di famiglia!
Ecco quindi che, questa comunità, non può che dirLe grazie per come ha saputo interpretare il suo ministero e per come ci vorrà portare nel suo cuore!
Quest’anno, a San Pardo dall’altare, ci ha fatto una promessa: “come aunn e qusci l’ann ch vê”! Sicuri che manterrà la promessa l’aspettiamo ogni volta che vorrà venire a gustare il nostro affetto per Lei. La comunità di Larino sarà per sempre la vostra comunità! Grazie Don Claudio e arrivederla presto!”
E’ toccato al ministrante più piccolo, poi, donare a don Claudio un ricordo della comunità larinese: un’effige del suo santo patrono. Ultimo e coinvolgente momento, prima della benedizione con le sacre reliquie del vescovo del Peloponneso, l’inno a San Pardo, quell’inno di grazia per il santo dei larinesi di cui don Claudio non sapeva neppure esistesse, né aveva mai sentito questo nome, ma che in questi quattro anni e, sappiamo per tutta la sua vita, amerà come suo devoto.
Una pagina di storia, consentiteci il termine. Di quelle che devono essere fissate su carta perché qualcuno ricordi bene cosa è stato, chi è stato e chi sarà sempre e per sempre don Claudio Cianfaglioni per Larino ed i larinesi.
Nel mio piccolo so che continuerà a seguire i nostri passi, i passi delle persone che l’hanno accolto e non farà mai mancare le sue preghiere e noi le nostre. Grazie anche dalla nostra redazione, grazie per quella prima intervista concessaci in tempo di Covid, grazie per tutte le volte che i nostri passi si sono incrociati, le volte che, nel Signore, abbiamo condiviso momenti di vita indimenticabili. Nelmolise.it e prima ancora viaggionelmolise.it infondo è stata anche e lo sarà sempre casa tua.
Nicola De Francesco
(Grazie per le foto all’amico Primiano Miozza)