LARINO. Sebbene la nostra piccola Regione non è proprio tra le più ricche e sviluppate della Penisola e questo stato di fatto, mi permetto di osservare, non è considerato abbastanza e in maniera concreta da una politica ferma e ripetitiva, senz’altro ha dato i natali a tante personalità che si sono distinte in vari campi, ma che, spesso, per emergere si sono dovute trasferire in ambienti più favorevoli alle proprie aspirazioni. Decisamente gli artisti sono stati tra i primi a farlo, e questa loro scelta è reale e documentata da sempre.
Personalmente, e da artista, sono convinto che qualsiasi espressione artistica è una validissima forma di comunicazione, una vera forza che dovrebbe essere vista, oltre che nella sua logica di mercato o espositiva nei luoghi deputati all’arte, come un mezzo originale e molto valido per favorire un’aggregazione sociale e anche solidale, se non altro un confronto che può essere un elemento in più per la crescita e lo sviluppo della nostra piccola realtà territoriale. Ma sembra che le novità, che non escludono un confronto diretto con altre realtà territoriali e culturali spaventano ancora, per cui risulta più “facile” stare fermi per non rischiare.
A tal proposito voglio raccontarvi della figura dell’artista Arnaldo de Lisio, nativo di Castelbottaccio, che spinto dalla sua voglia di crescere professionalmente soggiornò spesso a Parigi dove frequentò la Scuola di Parigi e i pittori impressionisti del Bateau Lavoir. Siamo agli inizi del Novecento e Claude Monet, il massimo esponente dell’impressionismo, sul finire del secolo precedente ha già dato la sua lezione sui fenomeni luminosi della natura che in un nuovo scenario molto suggestivo e nuovo traduce, anzi è il caso di dire “imprime” sulla tela. La luce naturale diventa una sorta di filtro che illumina tutti gli elementi figurativi da catturare, in quel preciso momento, come in uno scatto fotografico.
Arnaldo de Lisio, già allievo di Domenico Morelli e Gioacchino Toma (tra i massimi esponenti dei macchiaioli), è stato un pittore che maturò questa vocazione impressionista a Parigi, considerata a quei tempi la capitale della cultura europea. Lì visse dal 1900 al 1902 e perfezionò l’arte del colore, praticando le nuove tendenze pittoriche e conoscendo tutto l’ambiente degli artisti emergenti. Pregevoli sono i suoi dipinti realizzati “en plain air” sulle sponde della Senna, opere di piccolo formato su tela o tavola che rappresentano soprattutto piazze e scorci della città, come ad esempio “Place de la Concorde” (olio su tavola, 40×30, nell’immagine), ma con essi anche scene di vita cittadina proprie della Belle Epoque. Questo pittore di origini molisane di grande talento, che visse e lavorò soprattutto a Napoli, era noto anche per la sua simpatia e il carattere solare come si evince dal suo autoritratto. Il padre Vincenzo di cui si conserva un ritratto (olio su tela, 87×66 del 1906), dipinto da Arnaldo, nella collezione di famiglia a Napoli è stato un poeta, glottologo, folclorista, uomo impegnato politicamente e anche pittore. Una personalità di grande spessore quella di Vincenzo de Lisio, che contribuì non poco alla formazione del giovane Francesco Jovine e che, secondo alcuni critici, lo ha ricordato come ringraziamento nel personaggio di don Giovannino de Risio nel romanzo la Signora Ava.
Tuttavia c’è ancora molto da studiare riguardo il percorso artistico di Arnaldo de Lisio, soprattutto perché non ha avuto ancora quel posto di rilievo che meriterebbe nella storia dell’arte per il suo indiscusso talento, oltre il continuo e lodevole impegno professionale a Napoli, dove operò instancabilmente, e nei suoi soggiorni parigini. La sua produzione artistica è varia e copiosa, spazia dai paesaggi molisani, carichi di nostalgia e di grande effetto, come “Il Matese”, “Carpinone”, “Fiumicello molisano”, “Impressioni molisane”, ai ritratti, come il celebre ritratto del padre, “Il pupo”, ritratti di contadini e pescatori, e altri soggetti propri della realtà molisana e partenopea. Si dedicò particolarmente alla ritrattistica di personaggi illustri esponendo alle mostre intitolate a “Salvator Rosa” dal 1888 al 1911.
Arnaldo visse a Napoli, qui lavorò guardando il mare di Mergellina che tante volte dipinse insieme ad altri capolavori come “Spaccanapoli”, “Posillipo”, “Somma vesuviana”, “Torre del Greco”…per cui i critici lo hanno definito l’ultimo rappresentante della Scuola Napoletana dell’Ottocento.
Sono quattro i capolavori assoluti ispirati dal paesaggio napoletano “Zeza-zeza”, “Padroni della strada”, “A Porta Capuana” e il “Pallonetto di Santa Lucia”. Dei suoi soggiorni a Parigi con gli amici Scoppetta e Ragione voglio ricordare “La Parigina”, “Teatro dell’Opera”, “Autunno a Parigi”, “Sole a Parigi” e uno degli ultimi dipinti sulle rive della Senna nel 1902, “Boulevard Bonnes Nouvelles”. La lezione appresa a Parigi e lo stile partenopeo furono un’ottima combinazione per magnifici pastelli tra cui “Mia moglie” e “Alfonsina” e, in questo stesso stile, il ritratti ad olio “Alfonsina e Maria” e i successivi “Virginia” e “Autoritratto con la nipote”.
In una collezione privata a Larino si conserva un ritratto acquerellato di Lina Pietravalle, giornalista e nota scrittrice negli anni ’20-’30, che ho avuto modo di ammirare e apprezzarne la freschezza dello stile, la padronanza della tecnica, la naturalezza della figura, lontana da ogni accademismo, colta e bloccata nella sua più spontanea e serena espressione di donna giovane e attraente nella sua semplice ma vera eleganza.
Purtroppo molte opere del maestro molisano, e in particolare quelle del suo primo periodo, sono andate disperse, anche a causa degli eventi bellici, ovvero la prima e la seconda guerra mondiale. Tuttavia in una biografia che il Giannelli scrisse quando de Lisio era ancora in vita si ricorda che alcune opere furono acquistate da importanti personaggi e tra questi il re Vittorio Emanuele III.
Tanti altri suoi dipinti si sono conservati in diverse città italiane, soprattutto in collezioni private e uno molto noto, inizialmente conservato nella Galleria Nazionale di Arte Moderna a Roma è adesso a Palazzo Chigi. L’opera titolata “Ultimo inverno” è del 1897, rappresenta un vecchio barbone sotto una coperta in un angolo di Roma, sviluppa pertanto il tema della vecchiaia e della povertà, restituendoci anche la forte sensibilità umana del de Lisio, questo verismo sociale prende coscienza e trova forma anche in un altro suo dipinto conservato a Buenos Aires dal titolo “Gente semplice” che ha per tema le migrazioni italiane.
Altri saggi mirabili della sua intensa produzione artistica, che non si limitò alla tela e ai piccoli formati, si possono ammirare tra i disegni ornamentali della Galleria Umberto di Napoli, nel duomo di Fontanarosa (Avellino), nella chiesa di Sant’Elena Sannita, nel Municipio di Acerra, e a Campobasso nella Banca d’Italia, nell’Istituto Tecnico “Pilla” e nel Teatro Savoia.
Quest’ultimo, chiamato in un primo periodo “Teatro Sociale” era sorto negli anni ’20 sull’area dove precedentemente fu eretto il Teatro Margherita, e fu inaugurato nel 1926 con la rappresentazione della Tosca di Puccini. Al suo interno si possono ammirare le pitture realizzate da Arnaldo de Lisio, sono scene di vita quotidiana e vedute caratteristiche di Campobasso e del Molise, mentre tutta la volta della platea è occupata, in maniera davvero suggestiva, dalla enorme pittura allegorica de “Il Trionfo dei Sanniti”.
Arnaldo de Lisio nato a Castelbottaccio nel 1869 visse e lavorò a Napoli, artista di grande talento, aperto alle novità e infaticabile lasciò questo mondo di notte, nel 1949, tra i fedeli compagni di una vita, i suoi pennelli e i suoi colori. Morì ottantenne lasciando molte opere incompiute, mentre nel suo ultimo quadro ritrasse l’amata nipotina. A ricordo di questa sua eccezionale se non ineguagliabile carriera di artista impegnato e affermato fu collocata dal Comune sulla facciata della sua abitazione una lapide che lo identifica in veste di “maestro del colore”.
Adolfo Stinziani