RIPABOTTONI. Momenti di gloria per Pietro Ramaglia (Ripabottoni 1802 – Napoli 1875) scienziato, sommo clinico e medico di Corte dei Borbone. Nella bella chiesa di Santa Maria Assunta, dove si respira la voce profonda dell’arte sacra napoletana, è stato celebrato il 220° anniversario della nascita di Pietro Ramaglia, figlio illustre di Ripabottoni. Dopo la Santa Messa, celebrata dal vescovo di Termoli Larino Gianfranco De Luca, il sindaco del luogo Orazio Civetta, ha portato i saluti delle istituzioni comunali ringraziando le autorità presenti e i promotori dell’iniziativa che indubbiamente lascia il segno nella vita culturale della realtà locale.
Mons. Gabriele Tamilia, parroco della comunità parrocchiale, dopo aver ringraziato il vescovo della diocesi per l’interessante riflessione sul personaggio, si è soffermato sulla cerimonia tesa a ricordare questa figura straordinaria. “Pietro Ramaglia è stato un grande scienziato ma anche un grande uomo di fede – ha precisato – ha saputo coniugare armoniosamente le ragioni della scienza con quelle della fede protese alla ricerca dell’unica verità proveniente dalla realtà divina. Non solo. Ma ha saputo anche unire due realtà estreme, Napoli e Ripabottoni, non dimenticando mai le sue origini”.
A breve il teologo Gabriele Tamilia e la storica Gabriella Paduano pubblicheranno una monografia sull’illustre clinico di Ripabottoni, medico della Reale Casa Borbonica e fondatore nel Regno di Napoli della moderna scuola medica napoletana. Le scoperte dell’illustre clinico nel campo della medicina hanno varcato i confini del Regno. La storica Gabriella Paduano ha presentato un esauriente excursus sulla vita del noto clinico. Soffermandosi, tra non poche curiosità inedite, su un’esperienza di alto profilo umano, sociale e scientifico. “Oggi sono particolarmente emozionata – ha affermato Gabriella Paduano – nel parlare di una figura così importante. Dire di Ramaglia solo scienziato è sicuramente riduttivo. Nel corso del tempo mai nessuno gli ha dedicato un monumento, una piazza oppure un ospedale. Si può dire che ha avuto inspiegabilmente una sorta di damnatio memoriae. Speriamo che le tante iniziative in cantiere riusciranno a togliere su di lui l’immeritata la polvere dell’oblio. A Ripabottoni c’è una lapide che lo ricorda sulla facciata della sua abitazione. Pietro Ramaglia nacque a pochi passi dalla chiesa di San Rocco, da una famiglia umile, 220 anni fa. Il nonno Pietro nacque a Ripabottoni, ma il bisnonno Angelo non risulta dalle fonti d’archivio. Probabilmente, come la mia famiglia, giunse in paese grazie alla presenza dei principi Francone. Era dunque povero. Con tanti sacrifici riuscì a studiare nel seminario di Larino, il primo seminario della storia umana. Poi continuò gli studi a Toro, in un ambiente scolastico privato riconosciuto, la casa di Domenico Trotta.
Qui compie gli studi umanistici, filosofici e di diritto. Si innamora di Dante Alighieri e dell’Alfieri. Grazie al sistema delle mezze piazze, una sorta di borsa di studio che concedevano i Borbone ai più meritevoli, riesce ad entrare nel Collegio Medico Cerusico a Napoli. Qui studia per cinque anni laureandosi brillantemente. Viene chiamato per succedere al Cotugno, il più grande anatomo – patologo allora conosciuto. Diventa clinico all’Ospedale degli Incurabili, il più grande ospedale dell’epoca. Tra l’altro collegato con il Molise in quanto la cofondatrice fu Maria D’Ayerbo, moglie del Duca di Termoli Andrea di Capua. Qui operò con Cardarelli, Pietrunti e De Horatiis di Poggio Sannita. Un gruppo brillante di medici provenienti dalla nostra regione che fa pensare veramente ad una scuola medica molisana. Ramaglia si specializza in anatomia patologica. Non fa altro che vivisezionare cadaveri. Sembra che con l’aiuto di un infermiere si facesse chiudere perfino nell’obitorio per lavorare appunto sui cadaveri, attività che all’epoca non era affatto consentita dalla chiesa.
Vivisezionare i morti per capire le malattie dei vivi. Questo era il suo motto. Fonda così l’anatomia topografica pubblicando nel 1840 una monografia sull’argomento che mai nessuno aveva pubblicato. Era talmente bravo che il re Ferdinando II di Borbone lo volle a corte. Era poi un tipo pure particolare. Bassino, magro, sempre elegante e con un sorriso unico stampato sul volto. Nessun malato è andato via da questo mondo – si diceva in giro – senza avere un conforto o un sorriso da Pietro Ramaglia. Penso che a pieno titolo sia il nostro San Giuseppe Moscati. Uno stile di vita decisamente particolare dunque dedicato come scelta etica ai nullatenenti. Quello che guadagnava lo donava in beneficenza. Quando morì non fu seppellito in una cappella, nonostante avesse sposato una baronessa, Marianna Tambelli del Vasto. Ma nel Cimitero delle 366 Fosse, nel luogo dove venivano seppelliti gli incurabili, i malati che lui aveva curato per tutta la vita. Fu fondatore persino di un’associazione di beneficenza per i poveri che di nascosto in primis finanziava. Nel 1836, in occasione del colera a Napoli, fu il primo a scoprire la causa della terribile malattia dovuta al tricocefalo. Una sorta di verme che si impossessava dell’intestino”. In definitiva tante note curiose di una personalità impegnata a migliorare le relazioni umane e le condizioni socio-sanitarie. Un esempio di vita tra l’altro con lo sguardo rivolto sempre ai poveri e ai bambini, in una Napoli all’epoca sensibilissima al progresso civile e scientifico. Un filantropo a tutti gli effetti come emerge dalle fonti d’archivio. Non resta che attendere dunque questa nuova pubblicazione per conoscere nei dettagli la figura di un personaggio che ha dato tanto alla medicina e al mondo della società. E che lascia un’eredità di valori indubbiamente sempre attuali. Pietro Ramaglia aveva il suo studio privato nel cuore di Napoli, in via Toledo 424. “Si racconta che una volta il padre si recò nel suo studio. Le segretarie del clinico, nel vederlo trasandato e così povero, gli negarono l’accesso. Dopo varie insistenze riuscì finalmente ad entrare nello studio medico del figlio.
Quando Ramaglia vide suo padre disse: da cotante spine è nato questo fiore”. Pietro Ramaglia fu anche l’ultimo che fece la diagnosi al re. Per questo fu insignito del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio dell’Ordine di Grazia. Perché fu medico di Corte senza essere cortigiano, né tantomeno ricco. Si spiega così la presenza di una delegazione dell’Ordine Costantiniano a Ripabottoni in occasione del 220° anniversario della nascita del sommo clinico molisano che fu sempre dalla parte dei più poveri.
Luigi Pizzuto