Da bambino, quando andavo al catechismo, ho imparato una canzone che facevamo a due cori: il coro dei bambini e il coro delle bambine. Iniziava il coro dei bambini, che diceva: «Le tue mani son piene di fiori, dove li portavi, sorella mia?». E le bambine rispondevano: «Li portavo alla tomba del Cristo, ma l’ho trovata vuota, fratello mio».
Da sempre festa di Primavera, festa della rinascita, a Pasqua i fiori sono protagonisti! E le nostre chiese, i nostri altari, si addobbano a ricordo di quel giardino dove – come ci dice il Vangelo di Giovanni – Gesù è «stato crocifisso» e dove, nello stesso giardino, «c’era anche un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto» (cf. Gv 19,41).
Quest’anno, la drammatica situazione sanitaria che stiamo vivendo, ci ha privato anche dei fiori. Le nostre chiese, oltre che di fedeli – pietre vive della Chiesa – sono vuote anche di fiori. Sul nostro altare stasera però ci sono dei fiori speciali: i fiori di carta che da tempo immemorabile i Larinesi, sapientemente e pazientemente, realizzano con le loro mani per addobbare i carri in onore di San Pardo, nostro patrono. Con quei fiori che hanno fatto con le loro mani alcuni di voi, stasera su quest’altare siete presenti spiritualmente ma realmente tutti voi, carissimi fratelli e sorelle di Larino!
Quel canto, che ho evocato all’inizio, racconta l’esperienza delle donne che abbiamo ascoltato poco fa nella narrazione del Vangelo di Matteo: giunte al sepolcro al mattino di Pasqua, lo trovano vuoto, Gesù non c’è. Ma prima di arrivare a fare quest’esperienza del mattino di Pasqua, bisogna attraversare la notte.
«Notte di veglia fu questa per il Signore» (Es 12,42) per far uscire il suo popolo dalla schiavitù dell’Egitto, in quella prima Pasqua della storia. Notte di veglia è questa notte, come la notte di ogni Pasqua. Attraversare la notte significa passare attraverso le tenebre. Ma con la certezza di chi sa che non sarà notte per sempre: ogni giorno ne facciamo esperienza, quando apriamo gli occhi alla luce del nuovo giorno. E soprattutto con la certezza di chi sa che non siamo da soli a vegliare, ma è il Signore a vegliare, con noi e per noi, per continuare a liberarci dalla schiavitù del male. Sì, davvero «Notte di veglia fu questa per il Signore».
La liturgia della Chiesa, nella sua materna sapienza bimillenaria, per due volte all’anno ci fa fare esperienza della notte: la notte di Natale e la notte di Pasqua, cioè quando Gesù nasce e quando Gesù muore per risorgere. Possiamo dire che queste due notti sono il simbolo dell’intera esistenza di ciascun uomo e di ciascuna donna. Quando nasce un bambino si dice che “viene alla luce”, ma prima di venire alla luce deve passare nel buio e nella notte del grembo materno. Così come quando si muore, si usa il linguaggio simbolico della notte e si dice: “ha chiuso gli occhi, si è addormentato”. La fede che ogni anno rinnoviamo a Pasqua ci dice che quel chiudere gli occhi, quella notte della morte, per noi non è eterna: con Cristo anche la nostra vita risorge. Fin d’ora, da subito egli ci vuole uomini e donne “risorti”, cioè sorti-nuovamente, ritti in piedi; uomini e donne che sanno rialzarsi e risollevarsi; uomini e donne che sanno e vogliono ricominciare; uomini e donne capaci di dire con san Lorenzo, martire romano: «La mia notte non ha oscurità». In una parola: uomini e donne di Pasqua!
Sì, la nostra notte non ha oscurità, carissimi fratelli e sorelle: quanti segni di rinascita, quanti semi di bene, quanti segnali di Pasqua vediamo disseminati attorno a noi anche in questo tempo in cui la notte della morte sembra toglierci il respiro. Tanti di noi ne sono testimoni e protagonisti in prima persona. Ecco perché è vero quanto mai ciò che abbiamo cantato all’inizio di questa celebrazione, nel solenne annunzio pasquale dell’Exultet: «Di questa notte e stato scritto: la notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia». E ancora: «Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti».
Per ben due volte, nel Vangelo di questa notte santa, abbiamo sentito rivolte alle donne l’invito a non temere. Prima è l’angelo dire loro: «Non abbiate paura» (Mt 28,5). Poi Gesù in persona, il Risorto, appare loro e ripete: «Non temete» (Mt 28,10). Il Vangelo sottolinea il “timore” ma anche la “gioia grande” che provano le donne al vedere il Signore.
Anche a noi stanotte Gesù, il Risorto, ripete con forza: «Non abbiate paura, non temete». Non permettiamo alla paura di rubarci la speranza e la gioia grande che vengono dalla certezza della fede. La certezza di chi sa che la nostra notte non è eterna, che la nostra notte non ha oscurità, perché Egli ha già vinto le tenebre con la sua luce immortale. «La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5): così si apre il Vangelo di Giovanni che leggiamo a Natale e così ripetiamo stanotte a Pasqua. Così, cioè, inizia e si conclude la buona notizia che ci ha stata affidata perché possiamo anche noi – come le donne del Vangelo – annunciarla a tutto il mondo, soprattutto a chi in questo momento è più impaurito, sfiduciato, depresso, paralizzato dalla paura. Diventiamo, soprattutto per loro, testimoni credibili della Pasqua del Signore: evangelizziamoci l’un l’altro, cioè annunciamoci l’un l’altro che la morte è vinta per sempre. Esattamente come facevamo da bambini al catechismo.
«I tuoi occhi riflettono gioia, dimmi cosa hai visto, fratello mio?» – così continuava quel canto con cui ho iniziato la nostra riflessione. «I tuoi occhi riflettono gioia, dimmi cosa hai visto, fratello mio?». «Ho veduto morire la morte, ecco cosa ho visto, sorella mia».
Che il Signore ci conceda occhi di Pasqua, occhi che riflettono gioia e non paura, perché anche noi abbiamo visto morire la morte! E così sia!