SALCITO. La giornata della Memoria sta per chiudersi, ma solo quella fissata sul calendario perché il fare memoria non è certamente legato ad una data, ma è constatazione perenne di come l’uomo, sì quello che sa amare, che sa essere prossimo sia stato, e sia ancora in tante parti del mondo, portatore di morte, di abbandoni, di vite ridotte al silenzio e alla solitudine.
Grazie alla complicità della nipote Aurora Filacchione che ha voluto fissare la sua storia sulla sua pagina Facebook, noi di Viaggionelmolise.it, dopo averla contattata, abbiamo scelto di chiudere questa giornata raccontando anche noi la storia del soldato Umberto De Luca, salvato dalla furia tedesca con la ‘complicità’ delle caramelle.
Nato a Salcito il 12 luglio del 1915, il soldato del 14° Reggimento di Fanteria ‘Pinerolo’, matricola 3551, fatto prigioniero dai tedeschi fu poi deportato in Germania, come tanti altri italiani che in Germania sono purtroppo deceduti, barbaramente deceduti, ma nella tragedia della situazione, Umberto ebbe la fortuna di essere destinato al lavoro in una fabbrica di caramelle.
Come scrive la nipote Aurora “la sua salvezza furono proprio le caramelle, che potevano essere mangiate solo durante la lavorazione, nulla poteva uscire dalla produzione. La fabbrica dovrebbe essere la “Flischer und Sohn”.
Stando alle notizie che la famiglia ha raccolto e sono spuntate fuori da un cassetto di un vecchio armadio, “con molta probabilità – continua la nipote – il Consolato Italiano si adoperò per liberarlo il 12 novembre del 1944. Una liberazione che portò il giovane soldato italiano a girovagare per diverse città tedesche prima di raggiungere la frontiera italiana del Brennero.
Quando tornò finalmente a casa, a Salcito, stando ai racconti dei familiari, gli stessi fecero fatica a riconoscerlo tanto era scarnito e provato.
“Quell’esperienza – aggiunge Aurora – sicuramente l’ha duramente segnato tanto che, decise di vivere in solitudine, pur essendo contornato dall’affetto dei fratelli e dei nipoti, ha scelto di vivere il resto dei suoi giorni nella solitudine, nel non dare fastidio. Mio zio è deceduto una ventina di anni fa. Era una persona mite, silenziosa che ti scrutava con gli occhi senza mai darti fastidio o chiederti qualcosa.
Fino a quando non abbiamo rinvenuto le carte relative alla sua deportazione in Germania non riuscivo a capire il perché dei suoi atteggiamenti, la sua chiusura, la sua solitudine. Ma poi, proprio da quelle carte, una foto, delle immagini della Madonna, la sua tessera di soldato e il suo impiego nella fabbrica di caramelle, ho capito come forse gli orrori di quei lunghi mesi in Germania, l’aver assistito alle crudeltà compiute, l’hanno stravolto e il suo silenzio, la sua solitudine era forse il modo per continuarsi a difendere da chi aveva scelto di pensarsi superiore ad un altro”.
Una storia che meritava di essere raccontata, quella del soldato Umberto De Luca, raccontata oggi, raccontata sempre, perché la crudeltà, il sentirsi superiore, uccide ieri ed uccide oggi, e non sempre si finisce sotto terra, tanti purtroppo la morte la portano ancora sul proprio corpo, nella solitudine della vita che, come Umberto, si è scelti, dopo l’orrore, poi, di vivere.