LARINO. Non è facile scrivere della personalità e della poetica di Amedeo Clemente Modigliani (questo il suo nome completo), senza ombra di dubbio è stato un intellettuale, un dandy ma, per la sua vita breve e travagliata, come lo definirono i francesi, le peintre maudit.
Oltretutto i documenti attendibili sulla sua vita sono pochissimi, per cui gli sono stati spesso attribuiti i convenzionali modelli di vita della bohème: povertà fatale e passione incontenibile. Modigliani nacque a Livorno il 12 luglio del 1884 da una famiglia borghese ebrea, la madre Eugenia era di origini francesi e si trasferì da Marsiglia a Livorno per sposare Flaminio Modigliani, un commerciante di carbone e legna che era a capo dell’azienda di famiglia, che però fallì irrimediabilmente con la crisi economica italiana. Eugenia, proveniente dalla famiglia ebrea alto borghese Garsin, era una donna molto emancipata per i suoi tempi e vantava di avere tra i suoi ascendenti il filosofo Spinoza.
Indubbiamente è alla madre che si deve il carattere, lo spirito aperto e buona parte della formazione artistico-letteraria del figlio. Eugenia si fece carico anche di mantenere la famiglia, non più benestante, con traduzioni delle poesie di D’Annunzio, con lezioni private e come critico d’arte.
La leggenda dell’artista ebbe inizio subito dopo la sua prematura scomparsa, Modigliani era di salute cagionevole, a soli undici anni ha una grave pleurite e a quattordici si ammala di tifo, una malattia mortale a quei tempi, da cui guarisce quasi miracolosamente.
La madre, che aveva intuito la precoce vocazione per l’arte di Amedeo, che chiamava amorevolmente Dedo, scrisse nei suoi diari: Il carattere del bambino è ancora poco formato che non so proprio cosa pensare. Si comporta come un monello, ma non manca d’intelligenza. Dobbiamo aspettare e vedere che cosa si nasconde in questo cucciolo. Un artista, forse?
Intanto lo stato di salute costringe Amedeo ad abbandonare le lezioni di disegno per poi iscriversi all’Accademia d’arte di Livorno, dove ha come insegnante Guglielmo Micheli, che era stato allievo di Giovanni Fattori, noto rappresentante del gruppo dei Macchiaioli (gli impressionisti italiani per intenderci meglio).
Nel 1900 si ammala di nuovo, questa volta di tubercolosi, e con la madre trascorrerà l’inverno nel meridione italiano tra Napoli, Capri e Roma. In questo periodo l’artista non solo si cura, ma ha l’occasione per studiare e conoscere città d’arte come Roma, di cui parla estasiato in diverse lettere inviate al suo amico e compagno di studi d’arte Oscar Ghiglia.
“C’è un germe fecondo, che vuole tornare al lavoro”, questo scrive con patetica confidenza all’amico Oscar; e di Roma riporterà incantato “Roma non è attorno a me, mentre ti scrivo, ma in me, simile a un gioiello terribile circondato da sette colline come da sette idee dominanti. Roma è l’orchestrazione di cui mi circondo, la sfera in cui mi chiudo e in cui depongo i miei pensieri. La sua grazia febbrile, il suo paesaggio tragico, le sue forme piene di bellezza e di cromia, tutto ciò mi appartiene, è nel mio pensiero, è nel mio lavoro”.
Nel 1902 segue l’amico Oscar, più anziano di lui di nove anni, a Firenze, dove si iscrive alla scuola libera di nudo, qui insegna il noto pittore Giovanni Fattori, ovviamente approfitterà per visitare i luoghi d’arte fiorentini, interessandosi all’arte del Rinascimento.
L’anno seguente, sempre in compagnia di Oscar, si trasferisce a Venezia dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti e segue corsi di disegno di nudo diventando amico di artisti come Ortis de Zarate e Ardengo Soffici. Alle Biennali del 1903 e del 1905 conosce le opere dell’impressionismo francese, le sculture di Rodin e i quadri dei simbolisti. Nella Biennale del 1903 riesce anche ad esporre un ritratto di donna della tradizione, benché la pittura dell’epoca fosse appannaggio soprattutto dell’impressionismo francese, riconosciuto universalmente.
Della prima produzione artistica di Modigliani ci sono pervenuti pochi quadri che non permettono di dimostrare un’influenza simbolista, ma è dei suoi primi anni a Parigi l’opera “Nudo dolente”, in cui è notevole nell’interpretazione della donna il modello alla Madonna (litografia) di E. Munch.
Modigliani si trasferisce a Parigi nel 1906, la capitale francese conta 2,73 milioni di abitanti, i boulevards voluti dal barone Haussmann sono l’orgoglio dei parigini, è illuminata da 9622 lampade ad arco e oltre mezzo milione di lampade ad incandescenza. Parigi è anche la capitale della pittura d’avanguardia, frequentata da tanti mercanti d’arte che cercavano nuovi talenti, è in sintesi per gli artisti la massima ispirazione a viverla ed è in essa che ha inizio una seconda fase dell’arte moderna, dopo la morte di Cèzanne, Gaugin e Van Gogh.
Modigliani per la sua arguzia e il bell’aspetto diventa presto popolare nel quartiere di Montparnasse, dove era sopravvissuto il gusto della vita bohèmienne dello scorso secolo, e Modì, come tutti lo chiamavano, impersonava perfettamente il bohèmien in quell’ambiente frequentato da alcuni figli raffinati e viziati della vecchia borghesia.
Il suo primo mecenate sarà il medico Paul Alexandre, che acquisterà i suoi quadri e disegni procurandogli delle importanti committenze, grazie a lui conoscerà lo scultore Costantin Bracusi da cui prende la lezione della scultura primitiva.
Nel 1911 espone le sue sculture, tutte rigorosamente di pietra, e che egli stesso definisce “pilastri di dolcezza” nell’atelier del pittore portoghese Souza Cardoso. Il suo intento era di realizzare un “tempio del bello” che accogliesse le sue sculture simili a idoli, il suo primo modello fu il soggetto delle cariatidi, ma la sua salute non gli permise di continuare nell’arte della scultura.
Nel 1914 conosce altre due personalità che lo aiuteranno, prima il mercante d’arte Paul Guillame, poi la scrittrice Beatrice Hastings con cui convive a Montparnasse e ha una relazione tempestosa, tanto che la stessa lo definì “perle et pouceau”. Dopo la rottura con la Hastings verrà aiutato dal poeta e mercante d’arte Lèopold Zoborowshi, così continuerà a dipingere nella abitazione del suo nuovo mecenate che con la moglie Anna saranno determinanti per la sua carriera. Dopo i tanti ritratti, dipinti anche per “sbarcare il lunario”, inizia a dipingere una serie di nudi di donna che espone in quella che sarà l’unica sua personale nella Galleria Berthe Wheill. Un evento sfortunato poiché di fronte alla Galleria c’era un comando di polizia che ben presto capì la folla dei visitatori, per cui lo stesso giorno la questura impose la chiusura della mostra e il sequestro dei quadri giudicandoli scandalosi e offensivi al pubblico. In quell’anno Modigliani aveva conosciuto Jeanne Hèbuterne, studentessa all’accademia Colarossi che sarà l’amore della sua vita, convive con lei per due anni a Parigi per poi trasferirsi, a causa del pericolo dell’invasione dell’esercito tedesco, con la famiglia Zborowsky nel Sud della Francia.
I quadri di questo periodo rappresentano la gente del posto, gente comune (camerieri, contadini, zingare) e quattro paesaggi. La tavolozza dei colori diventa più chiara e luminosa, la pennellata più libera e la superficie pittorica meno levigata che nel periodo parigino. A Nizza la compagna Jeanne da alla luce una bambina che prende il suo stesso nome. La salute di Modigliani peggiora, ma nei ritratti della compagna, che lo scrittore Charles Albert Cingria definisce: “dolce, timida, tenera e taciturna. Un po’ depressiva”, raggiuge il suo apice, il pittore si allontana dalla realtà tattile e sensuale e la sua donna incarna la spiritualità, una liricità senza luogo e senza tempo. Per tutta la vita Modì si è occupato della figura umana e l’anno prima della sua morte si rappresenta nel suo unico autoritratto (foto), qui sono chiari i segni della sua imminente fine, il volto è scarno, gli occhi piccoli e socchiusi sono vuoti e rassegnati al suo destino di artista maledetto. Nello stesso anno, grazie alla mediazione del suo mecenate riuscirà a esporre in Inghilterra nella Hill Gallery di Londra con dieci opere e i collezionisti finalmente incominciano ad acquistare i suoi dipinti. Purtroppo, appena rientrato a Parigi, si ammala gravemente di tubercolosi, il 24 gennaio del 1920 muore nell’ospedale della Charitè e Jeanne, appena ventiduenne e di nuovo incinta, si suicida il giorno seguente.
Il ritratto di Jeanne in foto risale a un anno prima la tragica fine di questo grande amore, tra leggenda è verità le opere del pittore maledetto trasmettono quell’ansia di ricerca di uno stile proprio ed unico, e Modigliani ci è riuscito.
Dopo aver abbandonato la scultura per motivi di salute inizia la fase dei ritratti che sono molto simili a quei “pilastri di dolcezza”, le figure si allungano nelle braccia, nei colli lunghi e flessuosi, gli occhi osservano come in attesa o esprimono un muto ottimismo, dipinti con o senza pupille.
Modigliani è stato definito anche il pittore delle donne, egli amava le donne, l’armonia dei loro corpi e non furono mai semplicemente delle modelle, tra loro s’instaurava innanzitutto il rispetto reciproco e spesso anche l’amore.
Il ritratto di Jeanne che vi presento è uno dei pochi in cui sono dipinte anche le pupille: “dipingerò i tuoi occhi quando conoscerò la tua anima”, queste le parole di Modigliani dette alla sua amata che rappresenta il suo ideale, il suo concetto di bellezza femminile.
Certamente l’arte non deve solo deliziarci con la bellezza e mai smetterà di metterci in discussione, di farci porre mille domande e riflessioni, ma in questo ultimo ritratto di Jeanne l’arte di Modigliani non si limita alla rappresentazione, è uno dei suoi capolavori di quel suo regno di galleria di esseri umani, dalla tela affiora quel concetto di inconscio e il mistero dell’istintivo della razza umana che ci guarda con le pupille del suo ultimo e senza alcun dubbio unico amore nella sua breve e leggendaria esistenza.
Adolfo Stinziani