BONEFRO. Questa volta il professore Luigi Pizzuto ci porta a conoscere da vicino la Fontana della Terra del centro bassomolisano che compie ben 250 anni di storia.
“Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”. Vogliamo celebrare, così, con questi dolcissimi versi di lode gloriosa al Signore, tratti dal “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi, i due secoli e mezzo di vita dell’artistica fontana di Bonefro. Perché senz’altro lo merita come vedremo in seguito. La sua bellezza di antica memoria, senz’altro poco conosciuta, racchiude tra l’altro un curioso pezzo di storia locale. La Fontana della Terra sorge ai piedi del paese, in un luogo ameno, ricco di acque sorgive, a 571 metri sul livello del mare. Si chiama così perché la sua funzione è destinata a tutti gli abitanti del luogo.
Fu costruita nel 1771 col contributo di tutta la popolazione che, in questo caso, ha dato vita ad un pezzo d’arte rurale a dir il vero monumentale. Alquanto prezioso. Attualmente la secolare fontana è parte integrante di un ampio spazio teatrale. A cielo aperto, unitamente al lavatoio in pietra squadrata che si trova accanto, costituisce una scenario di tutto rispetto, in pietra naturale, sicuramente del luogo. Nel suo linguaggio architettonico, da tempi immemori, fa sentire la sua voce delicatissima. I gettiti d’acqua accentuano la sua energia e la sua vitalità. Talvolta scintillano pieni di innumerevoli gocce. Come tante lacrime di gioia. Pensando alla buona e alla cattiva sorte vissuta in tempi non facili dalla gente bonefrana.
Lei, tutta sola, nel suo eterno fluire non ha mai smesso di abbracciare il flusso degli eventi fragili in cammino in quest’area del Pantano. Forse per questo il fronte della fontana è fiero di essere da sempre in piedi. Come un palcoscenico a scena aperta è rivolto all’ampio emiciclo teatrale, perfetto nelle sue equilibrate geometrie concentriche. La facciata della fontana è costituita da sei arcate disuguali. Separate da paraste alla base decorate. Sono decisamente simili ad un caratteristico loggiato, che separa lo spazio antistante dall’acqua. Un “dentro e fuori” ben diverso. Definito dall’età. Che stranamente dialoga come luogo del cuore. All’interno contiene un grande abbeveratoio dove si riflettono gli effetti chiaroscurali in un gioco di luce che piace. Le arcate in primo piano ne accentuano il movimento. Dalle tre cannella metalliche fuoriesce un’acqua fredda, chiara e cristallina, che nasconde il senso del divino. All’interno in viva voce ripetutamente si amplifica senza sosta il tonfo di un verso che pare risalire dal fondo. Fino al cornicione sette colonnine dividono le arcate.
Sulla sommità un’iscrizione latina è scolpita in uno spazio ovale. E’ sormontata da uno stemma in bassorilievo che reca la scritta San Nicolaus. Il campo del simbolo più caro ai bonefrani è decorato con il busto trionfante, appunto, di San Nicola. Protettore del paese. Santo protettore dei bambini, della transumanza, delle zitelle e dei marinai. E dunque dei viaggiatori che sul tratturo Celano-Foggia intraprendono un andirivieni avventuroso che non finisce mai. Qui quanto di più sacro abbraccia i valori più autentici della comunità. Come d’incanto rifiorisce un pezzo di civiltà agro pastorale che ha radici nella civiltà tratturale.
E s’intreccia a chiare note ai bisogni primari della vita sociale. L’iscrizione latina è la seguente. D(EO) O(PTIMO) M(ASSIMO)/ MURMURE DELECTAT/ REFECIT PRAEBETQUE/ SALUTEM/ HIC FONS QUEM POPULUS/ CONDIDIT/ AERE SUO/ D(OCTO)RE PH(ISI/CO D(OMINO) AEMILIO FANTETTI/ MAG(NIFICO) RAIMUNDO ROSSI/ IANUARIO COLABELLA/ ET ROCHO BLANCO/DE REGIMINE UNI(VERSI)TATIS/ T(ERR)AE VENIFRI/ A(NNO) D(OMINI) MDCCLXXI. La traduzione è questa: “A Dio Ottimo Massimo.
Col mormorio diletta, rimette in sesto e fa bene alla salute questa fonte, che il popolo costruì col suo denaro. Il dottor fisico Don Emilio Fantetti, il Magnifico Raimondo Rossi, Gennaro Colabella e Rocco Blanco, essendo governanti della Terra di Venifri. Nell’anno del Signore 1771”. La Fontana della Terra è un inno alla vita, alla natura dell’acqua e alle azioni più nobili al servizio di una comunità. La fontana è il simbolo più autentico di Bonefro. E’ facile da raggiungere grazie a precise indicazioni turistiche. Si trova ai piedi dell’agglomerato più antico su cui svetta un castello cinto da torri circolari dalle radici longobarde e normanne, che, grazie al restauro, di recente appaiono più chiare.
Tra le note storiche segnalate da Michele Colabella nelle sue pubblicazioni si scoprono non pochi eventi accaduti nelle sue vicinanze. Nel 1647 si chiese che per conservare le buone acque non si doveva ”lavare panni, vasi lordi e altre lorditie nello spazio di due canne. I colpevoli erano tenuti a pagare cinque grana di pena al governatore del luogo. Nello stesso anno, nel periodo della mietitura e trebbiatura, per consentire ai massari e ai contadini di rifornirsi d’acqua, si doveva vietare ai padroni dei porci di condurre gli animali presso la fontana per evitare che si potesse lordare. Per ogni morra di porci l’ammenda era di sette carlini”.
Ai tempi del brigantaggio qui veniva fucilato chi veniva sospettato di questo reato. Sempre dalle fonti dello storico Michele Colabella sappiamo che il 28 maggio 1808 i giovani braccianti Francesco Fantetti, Onofrio di Marco di Grappa e Pardo di Vincenzo Montagano vennero fucilati dalle truppe francesi. Il 7 agosto 1861 fu giustiziato il “brigante” filo borbonico Gennaro Fantetti. Nel passato ha preso il nome di “Fontana della Conceria” perché alle sue spalle vi erano gli orti della vecchia conceria dove appunto venivano conciate le pelli. “Nel 1616 il marchese Aloisio de Castellet affittò per due anni la “conciariam pellaminarum” ai fratelli Marco e Cesare Guida provenienti da Vitulano in provincia di Benevento.
Anticamente è stata chiamata pure “Fontana dei Monaci” in ricordo della presenza di tracce di un antico monastero nelle sue vicinanze. Fu chiamata pure “Fontana della Salute” in quanto la sua acqua, avendo meno del 5% dei sali, veniva utilizzata per il lavaggio degli occhi dei ragazzi. L’immagine di un bambino d’altri tempi, che abbraccia il busto di San Nicola scolpito sulla sua sommità, è da considerare tra le fotografie più belle di Tony Vaccaro. Perché la presenza dei bambini, in un periodo di guerra oppure di miseria in un momento di non facile sopravvivenza, riaccende puntualmente tanta voglia di vivere. C’è da dire che in questa immagine trionfa la filosofìa più positiva del senso dell’esistenza grazie all’immagine di un ragazzo ritratto in cima.
Il maestro della fotografia, di origine bonefrana, con i suoi scatti riesce sempre a regalarci un pensiero sensibilissimo. Capace di svelare l’anima. Partendo da scorci, da dati o da condizioni reali. Nella fase del post sisma del 31 ottobre 2002 la fontana è stata ritratta dall’artista francese Jean Luciano. Oggi è un monumento alla civiltà di ieri. La sua funzione culturale continua accogliendo iniziative e manifestazioni culturali di ogni tipo. Recentemente nel suo emiciclo è stata presentata la pubblicazione “Bonefro. Ambiente e storie sconosciute” stampata dall’Editrice Lampo di Campobasso. La Fontana della Terra è custode di uno scrigno di sapere. Dal Settecento in poi è madre della vita di Bonefro. Nelle sue pietre resiste il valore della memoria e del “racconto”. Che gli uomini di oggi dimenticano facilmente.