LARINO. L’artista larinese Adolfo Stinziani lascia a noi lettori continuare la passeggiata lungo Via Cluenzio e tra ricordi e presente ci conduce fino a piazza Vittorio Emanuele alla chiesa dedicata al protomartire Stefano.
“Nella Larino scomparsa, quella della mia generazione, da bambini recitavamo una filastrocca per i nostri giochi nelle piazzette, su questa strada e nei vicoli, dove era facile fare “nascondino”; erano questi i nostri giochi, semplici, abituali o inventati, ma veri e partecipati, e quella filastrocca era una “conta” per iniziare il gioco di gruppo che così diceva:
Larino, Larino è una bella città!
Si mangia e si beve, l’amore si fa.
Signorina hai visto mio marito?
Quanti soldi aveva in tasca?
Uno, due, tre, quattro……
Sono tradizioni orali, come la più nota carrese (Inno a di San Pardo), che ancora si conservano e che, oltre a ricordarci la Larino scomparsa, fanno vibrare le corde del cuore a chi le ha vissute.
Ma proseguiamo la nostra passeggiata culturale, ci eravamo fermati a metà di via Cluenzio a guardare gli stemmi leonini delle casate Minni e Christinziani; essa, a un certo punto, si snoda sulla destra e, in quel punto, nell’edificio dove ora c’è la sede dell’Ufficio Postale, c’era la seconda sede della Banca di Larino.
L’istituto privato fu fondato dalla nobile famiglia dei de Gennaro, di origini napoletane, Alfonso de Gennaro verso la fine del XVII sec. si trasferì da Napoli a Casacalenda e il successore Giuseppe da Casacalenda preferì fissare la sua residenza a Larino, edificando il palazzo di famiglia nella piazzetta di Santa Maria (al palazzo e alla famiglia de Gennaro ho dedicato un articolo pubblicato di recente su questa testata giornalistica).
Verso la fine dell’800 con l’avvocato Emilio de Gennaro il palazzo, ora dimora storica, subì radicali cambiamenti e nell’anno 1923 fu la prima sede della Banca di Larino voluta da Adelchi de Gennaro, l’ultima sede fu in Piazza del popolo nel Piano San Leonardo.
Subito dopo l’Ufficio Postale, su cui rimane a ricordo la lastra marmorea con la scritta “Banca di Larino” fanno da crocevia con via Cluenzio, via Marconi e via Falconio; quest’ultima porta nel quartiere di Santa Maria e ci mostra uno dei diversi palazzi appartenuti alla citata famiglia Minni, di impianto settecentesco che reca sulla cornice del balcone sul portone dell’ingresso principale un’epigrafe che ci ricorda dopo l’incipit D.O.M il fondatore (Johannes Marchione) e l’epoca.
L’antico edificio fu ereditato dalla famiglia Minni dai Marchione, notai in Larino, donna Emma Minni è stata l’ultima che lo ha abitato quale erede della nonna Caterina Marchione.
Della signora, dall’aspetto decisamente austero, serbo un vivo ricordo: andavo a trovarla (per darle consigli o lavorare sul suo antico mobilio) entrando da una porta secondaria che era in uno stretto e buio vicolo, e ogni volta ero sorpreso dal delizioso patio dietro quella piccola porta di ferro, con le sue tante piante, le erbe aromatiche, i fiori, tra cui delle magnifiche ortensie …. tanti erano i colori e gli odori che mi sorprendevano, e altrettanto sorprendente fu per me la sua inaspettata cordialità che presto divenne una cara amicizia.
Il palazzo Marchione, con la sua bella facciata, chiude via Falconio (intitolata a un’altra notabile famiglia larinese estinta).
All’imbocco di Via Marconi , che fu via De Misseriis (anch’essa intitolata a una illustre famiglia, di cui ricordo Antonio che fu vescovo di Larino nel 1456) colpisce per un particolare, che è il superstite, nonché la testimonianza di una evoluzione architettonica e di stile:
il rosone medievale della Chiesa di Santo Stefano (ex San Basilio), restaurato e reintegrato dei due raggi mancanti, purtroppo poco visibile, poiché l’antica facciata è coperta da un fabbricato molto più moderno, impropriamente lì costruito e dal campanile.
Fino al 1750, l’ingresso era su questa via, successivamente l’edificio sacro fu ingrandito spostando la facciata su Piazza Vittorio Emanuele.
Un altro interessante particolare campeggia sulla facciata laterale della chiesa che ricade su via Cluenzio, si tratta di un bassorilievo che, fino a diversi anni fa, era avvolto nel mistero, e che io profanamente e in maniera ironica chiamavo “la Cleopatra Frentana”, per via di un serpente che accompagnava la raffigurazione della donna, forse una santa?
Gli studiosi dell’arte, come quelli di storia sono soliti affrontare queste querelle cercando innanzitutto dati attendibili, come possono esserlo le fonti scritte, ma anche esaminando altre opere d’arte che hanno un certo legame con l’oggetto della loro ricerca. La presenza del serpente e della scritta (mancante di alcune lettere) sono stati però gli elementi cardine per l’identificazione della figura scolpita. Il nome della Santa lo dobbiamo all’amico studioso d’arte molisana arch. Franco Valente che ha riportato, in maniera dettagliata e documentata, i suoi studi e le sue considerazioni nello scritto: Finalmente svelato il nome della Santa che si affaccia su Via Cluenzio a Larino. E’ Santa Tecla di Iconio.
Tuttavia dopo tanti studi di fonti storiche, tra cui gli Atti degli Apostoli (la santa, secondo la tradizione cristiana, fu discepola di san Paolo) e di una cospicua testimonianza di opere d’arte che la rappresentano, alcuni studiosi sono arrivati alla conclusione che questa santa forse non è mai esistita.
Io mi permetto solo di aggiungere, riguardo al nostro bassorilievo, databile tra il XIII e XIV secolo, ed è solo un mio modesto parere, che non appartiene affatto alla decorazione platica dell’antica chiesa di Santo Stefano, ma che è stata lì incastonata, come tante epigrafi e stemmi che compaiono sulle case e sui palazzi di via Cluenzio; inoltre la collocazione proprio su questa chiesa ha una ottima motivazione: Santa Tecla come Santo Stefano è considerata la protomartire della Cristianità, quindi il suo corrispondente al femminile.
Il Magliano, storico larinese, scrisse della chiesa:
E’ forse questa chiesa la più antica di Larino ed era prima dedicata a San Basilio Magno. Vuole anche la tradizione, raccontata al Tria, che in essa fosse amministrata la cura delle anime pei Greci, di cui credè quel prelato fosse colonia la presente Larino…………
Raccontasi che in tempi assai antichi esisteva in questa chiesa un sarcofago in alabastro di inestimabile valore, sparito senza sapersi né come, né quando.
In Santo Stefano, fino al 1699, è stabilita una antica Confraternita detta “dei morti”, questa Confraternita, come possiamo leggere nella lastra sull’attuale facciata divenne in seguito Congregazione del Santissimo Sacramento e dei morti.
La facciata che ammiriamo sulla piazza col Palazzo Ducale (oggi sede del Municipio) è in stile barocco, con quattro lesene che la suddividono verticalmente e due cornici marcapiano; evito commenti sugli interminabili lavori di restauro, sia interni che esterni, fra i quali il campanile offuscato da anni da infiniti tubi innocenti, ma non posso pensare che quel giallo e quell’azzurrino siano i colori originali di questo antico e sacro edificio.
Ma ai larinesi (quelli che amo definire d.o.c.) la chiesa è più nota, non tanto per la sua linea architettonica o per la sua storia , quanto per alcuni e precisi rituali che da tempo la contraddistinguono.
E vi racconto quello di più antica memoria:
Il giorno 26 di dicembre, in cui si ricorda il protomartire, è d’uso far fare tre giri intorno al sacro edificio agli animali per scongiurare il loro mal di pancia e forse anche quello dei proprietari che li accompagnano (un tempo erano animali adoperati per il carico e i lavori agricoli, oggi quelli, senza dubbio, da compagnia), ma è anche una occasione per ritrovarsi , scambiarsi gli auguri e …. smaltire gli abbondanti banchetti della vigilia e di Natale!
Un rituale che anche io ho celebrato, oltre quello suddetto, è invece rivolto alla “scalett d’ Sant Schtef’n”, quella posta sulla facciata barocca da cui si accede alla chiesa.
La scaletta ha da sempre accolto, uomini e donne di ogni età, bambini e ragazzi; pare sia una soglia che induce a riflettere e a pensare, ma è nota anche come la scaletta delle “malelingue”, soprattutto nelle calde serate estive, quando “Larino giù” sembra rinascere con i suoi tanti eventi ed è frequntata dai forestieri-vacanzieri che non passano di certo inosservati e “commentati”.
Ovviamente anche io mi sono seduto tante volte su quella scaletta e per me è stata spesso fonte di ispirazione, oltre che di riflessioni, maliziosi commenti sui passanti, ma mai una qualsiasi soglia su cui sedersi e riposare.
Bene! La nostra passeggiata si conclude qui, se volete ora riposatevi, sedetevi e provate quelle sensazioni che a “scalett d’ Sant Schtef’n” può dare!
Cari lettori e amici vi ringrazio per aver avuto la pazienza di seguirmi in questo tour virtuale e, per il momento, mi congedo da voi e da “Larino giù”, ma prima mi siedo sulla più comoda panchina che hanno messo proprio di fronte a quella soglia tanto sacra quanto “profanata”, e penserò…..in versi:
La mia testa è una foresta di pensieri.
Un po’ di vento non porta via quel che penso,
i miei pensieri hanno profonde radici.
Parto, da solo, per vedere il mare,
con ansia aspetto di vedere il suo orizzonte azzurro
che non si può varcare, infinito mare.
Sulle tue rive la mia anima
come un cane fedele si lascia accarezzare,
e mi concedo al vento fra i colori di una calda estate.
La riva rassicura, ma la vela è nata per il vento,
e io torno a navigare nella brezza di quel mare
cercando limpidi orizzonti.
E quando la tristezza ha mille inespresse parole,
cerco riparo all’ombra di un pino, dal sole amaro scandito
dal canto della follia, e al profumo delle zagare canto alla gioia.
“Melanconia” di Adolfo Stinziani, in
Antologia Poetica “Percorsi”, Edizioni Palladino,
Ripalimosani, aprile 2021.
Testo e foto di Adolfo Stinziani