LARINO. In occasione di quella che storicamente è la data di morte del Sommo Poeta, vi proponiamo il nuovo intervento dell’artista larinese Adolfo Stinziani che riproponendo, con alcune varianti, un precedente articolo già pubblicato sulle nostre colonne in occasione del Dantedì, ci fa rivivere sempre nei suoi modi garbati e ricchi di spunti, la vita di Dante anche attraverso l’affresco che si trova nel palazzo Ricciardi di Palata.
“Oggi voglio riproporvi, con alcune varianti, un articolo pubblicato lo scorso marzo in viaggionelmolise in occasione del Dantedì che ricorre il giorno 25 di quel mese.
Non è un caso che io scriva questo 14 settembre, poiché è la data di morte del Sommo Poeta che ci lasciò nel 1321, sulle cause del suo decesso permangono molti dubbi, l’ipotesi avanzata e che non fu una morte naturale o per malaria (ndr., con rif. al “Libro segreto di Dante” dell’amico lancianese F. Fioretti).
L’articolo già pubblicato si concludeva i noti versi che chiudono il caplavoro dantesco:
E quindi uscimmo a rimirar le stelle.
Era un mio personale buon augurio e un invito a non perdere la speranza per un futuro migliore, libero dalla pandemia che purtroppo è ancora in atto. Quindi, al momento, sarebbe opportuno aggiungere un punto interrogativo in chiusura di questi versi.
Indubbiamente molto ha fatto la scienza in questi ultimi mesi, si è quasi raggiunta la cosiddetta “immunità di gregge” e un alto livello di accettazione a vaccinarsi; aggiungo, a mio parere, che è doveroso farlo quale nobile segno di rispetto per la collettività, nella speranza che il “nemico invisibile” venga identificato e sconfitto definitivamente.
E ripropongo volentieri i versi del più noto Canto della Commedia, il V, più noto come quello di Paolo e Francesca, che Dante pone nel girone dei lussuriosi tormentati dal vento impetuoso della loro passione che fu anche la causa della loro tragica morte:
I’ cominciai “Poeta, volentieri/parlerei a quei due che ‘nsieme vanno/e paion sì al vento esser leggieri.
Ed elli a me: “Vedrai quando saranno/più presso a noi; e tu li priega/per quell’amor che i mena, ed ei/verranno.
L’opera dantesca definita “divina” dal Boccaccio, per la sua bellezza poetica e per la tematica trattata, venne pubblicata con questo aggettivo solo nel 1555. La grandezza letteraria di quest’opera è ancora attuale, anzi immortale, ed è dimostrato anche dal fenomeno dell’intertestualità, ovvero il legame ancora vivo con la tradizione letteraria classica.
Cantanti come Antonello Venditti e Jovanotti hanno citato nelle loro canzoni il noto verso: Amor, ch’a nullo amato amar perdona.
In particolare nella canzone “Ci vorrebbe un amico” Venditti canta: E se amor che a nullo amato, amore, amore mio perdona, in questa notte fredda mi basta una parola.
Jovanotti, più dissacrante, ma comunque omaggiando quei versi, canta in “Serenata rap”:
Amor che a nullo amato amar perdona, porco cane. Lo scriverò sui muri e sulle metropolitane, di questa città di milioni di abitanti che giorno dopo giorno ignorandosi vanno avanti.
La conoscenza di Dante, e in particolare lo studio del suo capolavoro, è iniziata per tutti noi a scuola, tuttavia anche gli artisti, attraverso la musica (come ho fatto notare) o le arti visive (vedi foto, affresco di Raffaello), ma anche letterati e poeti, omaggiano e perpetuano da sempre il capolavoro di Dante, il padre della lingua italiana, l’autore classico più noto e apprezzato a livello mondiale.
Diversi anni fa ho accompagnato l’amico scomparso Guido Vincelli, studioso ed estimatore d’arte, a Palata, egli non mi anticipò nulla di quella visita, non guidava e io lo accompagnavo volentieri in questi “viaggi artistici” e alle conferenze che, devo constatare oggi, a quei tempi erano molto sentite e partecipate nella nostra “regione che non esiste”.
Il piano urbanistico di risanamento del 1910 stravolse Palata e il castello, che era nella parte alta del paese, oggi quella parte è una piazza denominata Poggio Ducale proprio in ricordo dell’antico sito dove sorgeva il castello.
Al Palazzo Ducale, quindi al quartiere nobile, si accedeva dall’attuale Piazza del Popolo ed era contraddistinto dallo stemma degli Azlor Pallavicino Zapata di Villahermosa, nobiltà iberica che dominò a Palata dal 1699 al 1806.
Il Palazzo che visitammo con l’amico Guido apparteneva ad Amodio Ricciardi, un edificio immenso con ben 23 stanze, tutte vuote e disabitate, con pregiati pavimenti in vecchio cotto del maestro Giuseppe Sacchi.
Il Palazzo si estende su via Ricciardi, una lapide commemorativa è stata posta dal Comune, dettata dal pronipote Angelo Vetta, e recita:
Alla memoria imperitura di Amodio Ricciardi
Avvocato insigne/magistrato integerrimo/deputato del Molise/al Parlamento napoletano del 1820/ammirato nell’età che fu la sua/per onesto costume/alto sentimento di giustizia/splendore d’ingegno/patriottismo verace/ebbe dalla Repubblica partenopea uffici ed onori/che scontò con le amarezze dell’esilio.
Il Ricciardi era nato a Palata nel 1756, fu avvocato a Napoli e la Repubblica Partenopea lo nominò Commissario dipartimentale, ma perita la Repubblica fu costretto ad andare esule in Francia.
Palazzo Ricciardi fu poi acquistato all’asta da un fratello di Nicola Maria Palombo, arciprete di Palata e usato per varie destinazioni.
Amodio Ricciardi come il Sommo Poeta provò sì come sa di sale lo pane altrui, e com’è duro calle lo scender e il salir per l’altrui scale. (Canto XVII del Paradiso)
Questi versi risultano ancora una volta attuali, il messaggio di Dante è universale, poiché tutto cambia e tutto si evolve.
La terzina è di grande liricità e descrive in pochi versi il dolore di ogni esule che è costretto a lasciare la Patria, i propri cari e gli affetti per andare a cercare fortuna in luoghi non noti, con gente diversa, spesso ostile , non accogliente e diffidente.
Tuttavia, anche in questa nostra globalizzazione, l’uomo resterà sempre un essere umano che ha bisogno dell’amore dei familiari, delle amicizie e del profumo della propria terra, egli non potrà mai essere un essere insensibile, perché i suoi sentimenti lo hanno sempre accompagnato, tanto da fare la nostra storia e ci hanno resi quello che siamo e che sempre saremo : Italiani!
Dante già in vita era un “top”, come diremmo oggi, della sua vita sappiamo tanto, molto di più di tanti illustri nomi del passato, perché egli stesso ci ha lasciato testimonianze scritte, sul suo tempo, in merito al valore degli uomini pronti a salire a cavallo per andare a combattere e di come era inteso l’amore, quel sentimento che veniva accolto dal cor gentile, parafrasando il Guinizelli, esponente del “dolce stil novo”.
Ma veniamo alla mia sorpresa nel Palazzo Ricciardi:
il salone ha pareti completamente dipinte a imitazione di una carta da parati a righe e una zoccolatura in legno, mentre al centro del soffitto appare un dipinto degli inizi del Novecento che raffigura “L’incontro di Dante con Beatrice” del pittore Giuseppe Galluzzi.
Il dipinto fa riferimento all’operetta giovanile di Dante, la Vita Nova, scritta in prosa, ovvero in volgare italiano che darà le basi alla nostra attuale lingua nazionale. E’ questa la fase stilnovistica del Sommo Poeta, la narrazione ha per tema l’amore giovanile, ideale e beatificante di Beatrice. Dante la incontra da bambino, la ritrova nel fiore della giovinezza, ma poi la perde con una morte prematura. L’operetta comunque trascende l’autobiografia ed è orientata a rappresentare una maturazione interiore che ha anche un valore di insegnamento esemplare di vita.
La consapevolezza, l’esperienza del primo amore, che è anche quello più puro, deve essere il movente per rinnovare la vita stessa in termini di evoluzione spirituale, così come si evince dal titolo della stessa opera, Vita Nova.
L’episodio raffigurato nell’affresco di Palazzo Ricciardi a Palata testimonia l’alta tradizione culturale italiana, che certo non sfuggì al piccolo paese molisano, ma anche la popolarità di questa rappresentazione, impiegata per illustrare cartoline e souvenir a Firenze; indubbiamente in uno stile tra il pittoresco e il folkloristico ma comunque costituisce un altro buon traino della memoria culturale italiana del Trecento.
(foto di una cartolina del 1850)
Ho qui ricordato in maniera molto sommaria, prendendo spunto da questo affresco di Palata, la grandezza di Dante Alighieri, ma io personalmente credo che sia stato anche un “grande sognatore”, era figlio di un usuraio e desiderava entrare a far parte del mondo dei letterati e della nobiltà. Questo suo desiderio fu voluto e perseguito grazie al suo impegno politico e di studioso, ma soprattutto la sua sensibilità umana e di poeta ha di fatto superato il sogno, perché scrivendo quel capolavoro è diventato immortale, lasciandoci una testimonianza scritta senza pari nella storia della letteratura italiana e mondiale.
Ma voglio ribadire l’aspetto umano di Dante Alighieri, egli ha dovuto attraversare gli oscuri cunicoli della politica, e sono tuttora oscuri, ecco la attualità del personaggio Dante, e in essi quei sacri ideali si sono infranti davanti agli odi tra partiti, la corruzione imperante, per cui il poeta può essere considerato una vittima sacrificale del suo tempo.
Con il dolore dell’esilio, il suo continuo vagabondaggio Dante scopre e ci rende partecipi dell’incredibile varietà dell’Italia del suo periodo, tra grandi metropoli e corti.
In particolare gli artisti di ogni tempo hanno dato visibilità a questo grandissimo personaggio, sviluppando temi iconografici che principalmente sono tre: l’esilio, l’amore per Beatrice, ma protagonista assoluta è la Commedia, il capolavoro dantesco che non a caso Giovanni Boccaccio ha definito “divina”.
Concludo confidando nella scienza, ma voglio sperare oltremodo che si realizzi quel divino desiderio del Sommo Poeta, che venga un qualcuno a liberare l’umanità da questa lunga e terribile pandemia.
una lonza leggera e presta molto…
…la vista che m’apparve d’un leone…
…ed una lupa che di tutte brame…
infin che il veltro
verrà che la farà morir con doglia.
Adolfo Stinziani