TERMOLI-LARINO. Tra qualche ora, alle 11.00 di questa domenica 16 febbraio, presso gli spazi della Caffetteria 10punto5 di Marzia Marini, verrà inaugurata la XXVI esposizione dei “5 dipinti” con l’omaggio al noto critico d’arte larinese Antonio Picariello in arte Pilo’ venuto a mancare nel 2020. Già negli anni 2000 Pilo’ espose una sua interessante mostra personale negli spazi del Centro Culturale IL CAMPO di Campomarino. Inoltre, in veste di curatore, ha collaborato a diverse iniziative culturali promosse dal Centro: La Biennale del piccolo formato, omaggio a Umberto Mastroianni, Premio d’arte Città di Campomarino, la prima edizione dei Murales, la prima mostra personale dello scultore Michele Carafa, alla mostra collettiva “Involucri di fine millennio” degli artisti molisani Nino Barone e Ernesto Saquella. La mostra chiuderà i battenti il giorno 15 marzo.
L’artista Nino Barone, grande amico di viaggio di Pilo’, nel suo testo di presentazione dei “5 dipinti” scrive: “Parlare dell’opera creativa di un artista risulta sempre un’impresa, è come navigare in un mare aperto e tempestoso, pieno di insidie e imprevisti che a volte mettono in seria difficoltà l’imparzialità e la veridicità del narrante; descrivere l’opera artistica di un critico d’arte militante, fatta da un pittore, è poi un’operazione ancora più ardua e complessa: e mi riferisco a questa importante mostra, per la portata storica che ha nel mondo della cultura italiana, realizzata dall’indomabile Renato Marini per testimoniare e sancire una volta per tutte la sostanziale presenza della poliedrica attività di Antonio Picariello, operatore culturale di grande spessore ed esperienza.
Pilò è lo pseudonimo del critico d’arte larinese Antonio Picariello, il quale è stato attivo in Molise dal 1994, ovvero dal suo rientro in Italia dall’isola della Reunion dove ha insegnato all’Università Cultura Italiana fino alla sua prematura scomparsa nel 2020. Un’esperienza sostanziale, quella fatta nella Reunion, che lo ha portato a coniugare scientificamente la conoscenza occidentale con quella animistica della tradizione africana, finalizzata a trovare l’unità simbolica comune dei segni archetipali presenti nelle opere d’arte, utilizzando gli strumenti d’indagine forniti dalle teorie di Jung: si può affermare, pertanto, che le opere visive di Pilò contengono, nella loro espressione formale e linguistica, tutta la cultura teorica e visiva del suo autore.
In particolare, la profonda conoscenza dell’antropologia culturale, maturata durante l’esperienza nell’isola della Reunion unita al metodico studio quotidiano della filosofia e della storia dell’arte, restituiscono nella sua opera un immaginario poetico e caustico, allo stesso tempo, della sua intrigante visione del mondo.
Un indizio di riferimento per sviluppare la lettura della sua arte lo possiamo trovare nel titolo di una sua opera che porta scritta a matita sul lato destro e in verticale dell’immagine “Weltanschauung”. Ci troviamo di fronte a una strada in ombra in primo piano con alberi a destra e sinistra, percorsa da un furgone e una macchina in tentativo di sorpasso, visti da dietro, che si dirigono presumibilmente verso un paese collinare soleggiato e in secondo piano. L’intervento grafico si realizza nel primo piano con segni gialli che iscrivono l’albero di sinistra in una faccia vegetoforme e con segni più chiari che si estendono sovrapponendosi da sinistra a destra nel cielo limpido. L’interpretazione della composizione suggerisce la contestazione dell’autore verso ogni abuso sulla natura perpetrato dall’uomo, che non considera più l’ambiente come valore per il benessere collettivo.
Questo diniego manifesto deriva filosoficamente proprio dal concetto di Weltanschauung, come concezione del mondo o visione del mondo, e si tratta di un concetto che trascende il singolo e attinge nel collettivo diviso della vita, e della posizione in esso.
L’altra opera che manifesta apertamente il suo interesse antropologico verso le culture africane intitolata “Tribale” (scritta a matita riportata sul lato destro in verticale) è una fotografia in cui si legge sul piano frontale una colonnina di un impianto leggermente decentrata a destra, un tubo verticale lungo fino al bordo superiore, tre tubi corti in posizione orizzontale; a sinistra un fusto scuro che proietta ombra sopra un muro sporcato con strisce di colore rosso sbiadito e grigio evanescente. Sinteticamente Pilò con questa immagine consegna alla nostra interpretazione il “mito tautologico” distruttivo di totem contemporanei che gli uomini occidentali hanno verso le attrezzature prodotte della società dei consumi.
In altre opere si vedono inquietanti omini filiformi che si aggirano liberamente in paesaggi antropizzati e luoghi di frequentazione collettiva con l’intenzione di sconvolgere la normale percezione di questi spazi: un’operazione che forse preannuncia il messaggio che non siamo soli nel cosmo, oppure che noi umani conviviamo con altre energie esistenti; forse un messaggio sciamanico?
Per altro aspetto, quello tecnico, le opere di Pilò sono essenzialmente sue fotografie riportate sul computer e rielaborate con segni grafici colorati semplici, incerti e tremolanti, che conferiscono all’immagine finale caratteristiche di straniamento formale e fascino del mistero.
In definitiva sono opere complesse che rappresentano il suo modo di vedere e vivere il mondo, le quali vanno osservate non solo esteticamente ma interpretate con il nostro terzo occhio. Mi auguro, in conclusione, che questa piccola mostra restituisca a Pilò / Picariello tutta la considerazione che merita e il pieno riconoscimento del suo autentico valore.
Ciao Antonio.
Nino Barone