di Pino Miscione
LARINO. «Δός μοι ποῦ στῶ, καὶ κινῶ τὴν γῆν». Datemi un punto di appoggio e solleverò il mondo! È la frase attribuita al grande matematico e fisico siracusano Archimede da Pappo di Alessandria nelle sue Collezioni matematiche. Un punto di appoggio, ed ovviamente anche una leva che possa esercitare una forza sopra quel fulcro. Una legge fisica d’immediata comprensione perché appresa da ogni buon allievo tra i primi rudimenti di quella scienza. Un punto d’appoggio, l’ubi consistam, serve ovviamente anche per azionare una leva che abbia come obiettivo quello di smuovere un ostacolo che parrebbe inamovibile. Nel caso in ispecie trattasi del parere contrario più volte manifestato dalla Soprintendenza archeologica molisana a che la città di Larino abbia un suo Museo Archeologico ubicato all’interno di Villa Zappone, acquistata nel 1994 dal Ministero per i Beni culturali precipuamente per fini museali.
Ebbene, cercherò in questo scritto di articolare qualche minima proposta circa il modo di procedere per sgretolare questo masso opprimente che grava sul futuro della nostra Città e della plaga che storicamente risulta essere di sua pertinenza – il Larinas ager e in genere l’intera Frentania meridionale –; quel territorio cioè che al principio del IV sec. a.C. ottenne il fœdus con Roma venendo a costituire una regione formalmente, ma possiamo dire anche sostanzialmente ancora del tutto autonoma dalla Repubblica Romana; una città-stato sebbene di estensione territoriale piuttosto ridotta, una vera e propria Respublica Larinatium dotata perfino di una propria monetazione.
IL COMITATO
Avendo partecipato a qualche riunione di un costituendo Comitato ad hoc, dal quale ho preferito uscire, che si prefigge sulla carta di ottenere la formale istituzione di questo tanto agognato Museo, è emersa come prima azione da intraprendere quella di sensibilizzare la popolazione tramite volantinaggio da effettuare davanti al Parco Archeologico, a beneficio – si deve credere – di quei pochissimi turisti e visitatori che ancora sperduti si aggirano tra i ruderi delle Terme romane e del cadente Anfiteatro, in questo inclemente mese di settembre che ha precorso di qualche settimana l’entrata dell’autunno. Ma a me in verità questa prima azione protestataria di “presentazione” pare del tutto velleitaria, se non controproducente oltreché di basso profilo. C’è evidentemente chi ritiene di poter reiterare, questa volta con successo, la inconcludente esperienza in difesa della Sanità pubblica, dove per di più il bene immateriale era di fondamentale importanza – la salute delle persone – e quello materiale ancora in buona parte ancora attivato – l’Ospedale Vietri; mentre in questo caso il bene immateriale – l’Archeologia e ciò che ad essa collegato – è ritenuto dai più del tutto inessenziale e il collegato bene materiale – il Museo Archeologico – non è mai stato presente in questo nostro territorio: un insuccesso che a mio modo di vedere verrebbe replicato repentinamente.
Questa strategia di breve momento fatta di manifesti, volantini et similia, che definirei “micro-pungente”, se davvero applicata, susciterebbe due immediate reazioni: l’ilarità della popolazione, poco educata a ritenere i Beni culturali come materia per la quale occorra mobilitarsi; l’indifferenza delle Istituzioni verso i quali essa è indirizzata, e in primo luogo la Soprintendenza archeologica di Salita San Bartolomeo, che non è Ente sottoposto al giudizio degli elettori, e che quindi farebbe ancora una volta orecchie da mercante se sollecitata da un sit-in di quattro o cinque persone ovvero da triti slogan stampati su qualche volantino. Strategia “micro-pungente”, perché sortirebbe nell’ostacolo che si vorrebbe rimuovere l’effetto prodotto da una puntura di spillo.
È affiorata poi una valutazione che definirei “epidermica”, la quale grazie alla confutazione sviluppata dialetticamente da chi scrive è parsa soccombere, la quale vorrebbe la subitanea e completa restituzione di tutti i reperti archeologici depositati da decenni nel Museo Provinciale Sannitico di Campobasso, ora assurto al rango di Museo Archeologico Nazionale. In questo modo il sopradetto Comitato, che si vorrebbe accreditare come interlocutore dal rappresentativo profilo culturale, inoltrerebbe come prioritaria richiesta all’Ente dotato di potere decisionale – la Soprintendenza archeologica – un atto oggettivamente distruttore di cultura, poiché esso comporterebbe il considerevole svuotamento di quel Museo campobassano, visto che i reperti provenienti da questo nostro territorio ivi custoditi e esposti rappresentano almeno la metà del totale. Museo Archeologico di Campobasso che nel 1995 ha trovato la sua sede definitiva nel cinquecentesco Palazzo Mazzarotta, fortemente voluto dalla stessa Soprintendenza, la cui sede centrale vi è fisicamente prossima, allestito secondo criteri scientifici e didattici del tutto soddisfacenti, tali da qualificarlo oramai come una delle massime istituzioni culturali della Regione, conosciuto in buona parte d’Europa soprattutto per via della forza di attrazione esercitata dai Sanniti Pentri (non dai Frentani), che ha attivato da tempo un costante flusso di visitatori provenienti dall’Italia e dall’estero, e che dal 2007 dispone di un proprio Catalogo ufficiale di cui è peraltro autrice la dottoressa Angela Di Niro, divenutane direttrice, la medesima responsabile dell’area basso-molisana che in un primo momento predispose l’istruttoria utile a che quei reperti larinati trovassero una degna collocazione all’interno del Museo della Civiltà Frentana di Villa Zappone. Qualcuno avrebbe dovuto domandare a lei, e da tempo, cosa mai sia accaduto di così sfavorevole da far decidere per una soluzione tanto difforme da quella primigenia.
La proposta che è parsa prevalere grazie anche al contributo argomentativo di chi scrive – ma non mi è dato di sapere se verrà tenuta ferma –, vorrebbe invece la coesistenza e la fattiva collaborazione tra l’Istituzione museale campobassana e quella larinese che questa nostra Città ha tutto il diritto di perseguire e di ottenere. Appare evidente difatti che, una volta ottenuto il formale avvio giuridico del Museo della Civiltà Frentana in Larino, il primo atto che il suo Direttore formulerebbe sarebbe quello di adoperarsi per dotarsi di reperti archeologici, prelevati anche dai depositi, che per numero e qualità consentano di rappresentare tutte le più significative manifestazioni che questo nostro popolo ha espresso fin dai primi secoli della sua storia, almeno a tutto l’alto Medioevo: un lungo cammino di almeno duemila anni. D’altro canto è risaputo come sia qualitativamente e quantitativamente rilevante ciò che viene tuttora “custodito” a vario titolo, spesso da generazioni, nella case di privati cittadini (e a Larino sono tanti!) che contribuiscono con il collezionismo privato al processo di disgregazione culturale commettendo un vero e proprio furto alla collettività (Angela Di Niro). Materiale archeologico che col formale ottenimento di un Museo nostrano in molti sarebbero indotti ad affidargli o a donargli.
LA “STRATEGIA AVVOLGENTE”
E allora come muoversi? Avanzo in maniera oramai del tutto disinteressata qualche proposta, a beneficio di qualcuno che la sappia raccogliere e portare avanti. Definirei questo diverso modo di procedere come “strategia avvolgente”, tesa cioè a proporre concreti esempi dal pregnante profilo culturale in grado di rivedere il volere contrario dell’Ente governativo campobassano, la quale necessariamente dovrà dislocarsi nel medio periodo. Essa mira in primis ad irrobustire, se non a costruire ex novo, l’ubi consistam, il punto d’appoggio sul quale sarà necessario far forza per dissolvere l’ostruzione esercitata dalla Soprintendenza. Per poterlo fare andrà analizzato e classificato il “materiale edile” di cui disponiamo, raggruppabile in quattro “scomparti”: Storia antica, Archeologia, Letteratura antica (latina), Storia sacra.
1. LA STORIA ANTICA
Fallace e immaginifico continuare a porre sullo stesso piano la forza di attrazione esercitata dal popolo dei Sanniti Pentri e quella espressa dai Frentani Larinati. I primi, conosciuti in Italia e all’estero perché tenaci oppositori di Roma per oltre due secoli e mezzo, dalla prima guerra sannitica del 343 a.C. alla battaglia di Porta Collina dell’82 a.C., che li vide definitivamente sconfitti e fisicamente sterminati per decisione di Silla, che subito dopo si portò nel Sannio per radervi al suolo le maggiori città: Bovianum, Æsernia, Panna. Popolo che contese a Roma il predominio sulla Penisola italica: l’Italia avrebbe potuto essere sannita oppure romana, e questo è un fatto che già di per sé mi pare eloquentissimo; hanno prevalso i secondi. Il Sannio e i Sanniti (Samnium and the Samnites) è il titolo di quello che è considerato l’opus magnum da chi si occupa di questo antico popolo italico, di cui non a caso è autore lo storico inglese Edward Togo Salmon (Cambridge University Press, 1967; 1ᵃ ed. it. Torino, Einaudi, 1985).
I secondi, cioè i nostri antichi progenitori, uno dei tanti popoli italici, misconosciuto dall’italiano medio, che vistosi sopraffatto da Roma nel 319 a.C., qualche anno dopo chiese ed ottenne l’alleanza col potente vicino. Verifichiamo dunque che la Storia antica espressa dai Frentani Larinati, seppure significativa, non è contrassegnata dal marchio dell’eccezionalità.
2. L’ARCHEOLOGIA
Esistono nel territorio cittadino e nel suo antico ager dei siti archeologici rilevanti: l’Anfiteatro romano innanzitutto, poi il sito del Foro e quello del Quartiere residenziale dell’asilo nido, i ruderi di alcune ville suburbane, oltre a quelli di altri edifici di cui tratterò più oltre, come pure si sa dove fosse collocato il teatro (contrada Guardiola), non ancora riportato alla luce; vi è inoltre una pluralità di pavimenti musivi, alcuni dei quali dal soggetto interessante (Lupercale). Tuttavia dobbiamo rimanere obiettivi nel definire ciò di cui disponiamo per quello che è: l’Anfiteatro è uno dei 112 anfiteatri romani presenti nel territorio italiano, per di più rosicchiato nel corso dei secoli da continue e prolungate spoliazioni, situato all’imbocco di un antiestetico viadotto che “si fregia” nel suo tratto terminale del côté di silos cerealicoli; stessa sorte di estrema depredazione è toccata al Foro e al Quartiere residenziale; i mosaici, benché di buona e a volte ottima fattura, non sono paragonabili ad assoluti capolavori come quelli di Piazza Armerina o El Jem (antica Thysdrus). In conclusione, il sito della Larinum antica non può essere comparato per eccezionalità né a Sæpinum/Altilia, spazio archeologico che per la sua immediata comprensione urbanistica – pianta quadrata con 4 porte, il cardo e il decumano ben riconoscibili, la basilica, il foro, il teatro, le tombe extra urbem – e per il paesaggio agrario circostante ancora immune da gravi manomissioni ambientali definirei “autoparlante”; né tantomeno all’area di Pietrabbondante, santuario della Nazione sannita, luogo nel quale si stipulava la pace e si decretava la guerra, che dispone di un “teatro” di assoluta eccezionalità.
Su queste peculiarità di estremo interesse Nicola Mastronardi ha potuto comporre con arte e studio tutta una molteplicità di proposte culturali, che vanno dai romanzi storici (Viteliú, Figli del toro) ai programmi televisivi trasmessi addirittura dai Raidue, e con la collaborazione di Alessandro Giuli, ora Ministro della Cultura. Questa copiosità di iniziative, oltre ad accrescere del tutto meritatamente il patrimonio del versato agnonese, ha permesso di puntare uno spot su quello spicchio d’Italia e sul popolo che in antico vi ha abitato, con tutto un ritorno positivo in termini di immagine, di interesse e conseguentemente di flussi turistici.
3. LA LETTERATURA LATINA
Ciò che di veramente eccezionale l’antica Larinum dispone afferisce alle lettere, e ovviamente alla Pro Cluentio di Marco Tullio Cicerone, che come ho ricordato in altro precedente scritto apparso su questa Testata è definito dalla Guida archeologica più autorevole che circola da decenni in Italia come il più straordinario spaccato della società di un municipio italico che ci sia pervenuto (Filippo Coarelli, Adriano La Regina, Abruzzo Molise, Guide archeologiche Laterza, Roma-Bari, 1984). Cicerone è poi universalmente riconosciuto come il più elegante prosatore che la Latinità abbia mai espresso, le cui opere di variegato sapere – orazioni, opere filosofiche e morali, epistole – sono studiate nei licei e nelle università di tutto il mondo. La Pro Cluentio era letta nelle scuole della Roma imperiale, e Plinio il Giovane non a caso la riteneva oratio optima, conosciuta da grandi santi e umanisti quali San Girolamo e Boccaccio, che ne rinvenne un antico codice nella biblioteca di Montecassino, sulle cui labbra si sarà sentito pronunciare indubitabilmente il nome di Larinum.
Legum omnes servi sumus ut liberi esse possimus si legge sovente sulle pareti imbiancate dei tribunali e delle aule universitarie dove si spiega il Diritto romano. La Pro Cluentio poi ci riferisce con dovizia di luoghi fisici, di collegamenti stradali, di usanze antiche, di legami di parentela, di guerre e di persone in carne ed ossa: innegabilmente una miniera inesauribile, solo se accortamente e profondamente sondata. Non a caso avevo suggerito, sempre da questa Testata, di “ciceronizzare” il patrimonio archeologico larinate, anche predisponendo un’apposita Guida archeologica, il cui titolo potrebbe essere Cicerone racconta Larino, opera nella quale potrei – volendo – anche cimentarmi, solingo, se solo avessi tempo e voglia.
Si obietta solitamente che Cicerone racconterebbe soprattutto la Città come corrottissima; ma si tratta a ben vedere di una lettura sbrigativa: egli non scrive un trattato di sociologia o di antropologia, ma pronuncia un’arringa in qualità di avvocato difensore; e come tale tende a screditare i suoi avversari nel processo – Sassia e il defunto Oppianico – accusandoli di ogni misfatto, e accredita di ogni bene il suo cliente, il pur colpevole Cluenzio. Larinum era una città corrotta come tante, solo che di altre nulla sappiamo per certo proprio perché non disponiamo di un eccezionale testimone qual è l’oratore di Arpino, che mai proferisce una sola sillaba contro di essa o i suoi abitanti, tanto da tenere stretti anche negli anni seguenti i rapporti con le sue élites, così come dimostra ad esempio il suo Epistolario intrattenuto con l’amico di sempre Tito Pomponio Attico.
La Letteratura antica è dunque – essa sì – materiale del tutto eccezionale, che potrebbe enormemente consolidare l’ubi consistam, il nostro punto d’appoggio.
4. LA STORIA SACRA
Classificabile come eccezionale appare essere anche la Storia sacra, anche se questa sua qualifica è generalmente poco apprezzata. La Città antica, difatti, oltre a vantare una rappresentativa comunità cristiana che pagò il suo tributo di sangue nel corso dell’ultima, più feroce persecuzione portata ai seguaci di Cristo dai Tetrarchi, possiede nel suo territorio un edificio sacro di straordinaria rilevanza storico-teologica: una basilica dedicata all’Arcangelo Michele, il Protettore della Chiesa universale, desiderata dal Vicario di Cristo dell’epoca, il papa San Gelasio I allo scemare del V secolo: per la prima volta nell’intero Ecumene cattolico un Pontefice disponeva questa straordinaria consacrazione allo Sterminatore del maligno. Da qui il valore del legame con la Roma cristiana, oltreché con quella pagana di cui si è già detto, risulta quanto mai accresciuto.
La basilica micaelica larinese potrebbe con tutta probabilità essere ravvisata in quella denominata da mons. Tria col titolo di Sant’Angelo a Palazzo, tuttora riconoscibile nel piano seminterrato di età romana sottostante alla Chiesa parrocchiale della Madonna delle Grazie. Vi è poi, all’interno del Cimitero comunale, una seconda basilica paleocristiana, intitolata ai Martiri Larinesi, o comunque un edificio attinente al culto martiriale (mausoleo funerario ad sanctos?).
CONCLUSIONE
Per irrobustire ovvero edificare ex novo il punto d’appoggio sopra il quale mettere in azione la nostra immaginaria leva occorre in definitiva proporre un’offerta culturale che sia capace di mettere insieme e fondere quanto più possibile le quattro diverse eppur concomitanti discipline poste in disamina, due delle quali risultano essere contrassegnate dal marchio dell’assoluta eccezionalità. Fare cioè quello che con successo si sta facendo nell’Alto Molise, consapevoli per di più che Mastronardi – col rispetto che gli è dovuto – non è paragonabile a Cicerone e la Pro Cluentio non è un romanzo storico. Ometto in questa sede di illustrare nel dettaglio qualche esempio concreto, oltre alla succitata Guida archeologica, già espresso in seno a quel Comitato.
Credo di aver esposto in maniera sufficientemente articolata quella che ho voluto definire “strategia avvolgente”, che nel medio periodo potrebbe ottenere il risultato, e comunque garantire a questa Città dal nobile passato di guardare con fidanza al suo futuro, perché riappropriatasene con successo. Raccontare Larino in modo diverso, evitando la frammentazione dei saperi e presentando invece una storia complessa e affascinante tale da consentire anche e innanzitutto alle nuove generazioni di farla propria e di ridirla ancor più accresciuta a chi verrà dopo; e riproporla poi a turisti, visitatori e pellegrini; sì, pellegrini, perché ho parlato non senza ragione pure di Storia sacra. Strutturare un “punto di appoggio” sul quale quante più persone, di tutte le generazioni, potranno far forza e rimuovere e perfino frantumare l’ostacolo: è la “leva” che in questa metafora sarà tanto più lunga quanto più vantaggiosa. Stiamo pur certi che nessuna Soprintendenza archeologica di questo mondo, condizionata e avviluppata da questa forza sprigionata da uomini di buona volontà nati e vissuti a Larino, potrà continuare a negare ciò che ad essa spetta per diritto.
Strategia tuttavia complessa che consegno, col beneplacito del Direttore di questa diffusa Testata, a qualcuno di umanamente affidabile che, anche per fatti recentissimi, non saprei ben riconoscere. Capita a volte che sul campo di battaglia si aggiri chi si crede Napoleone – e non mi riferisco al buon Stelluti – mentre tutt’al più potrebbe indossare la divisa di qualche suo attendente o la tenuta da amazzone di Joséphine Beauharnais inusitatamente a cavallo. Ma no! Non mi auguro affatto l’ennesima Waterloo larinese, anche se spirano paurosi venti di guerra che stanno addensando nubi minacciose capaci di scatenare tempeste di fuoco tali da ridurre questo nostro mondo a un immenso sito archeologico oscurato da polveri radioattive. Ritrattomi mio malgrado da quest’opera appena germinata, per la quale offro questo mio scritto spero non troppo annoiante, mi dedicherò con tutto me stesso per dare il mio contributo immateriale a che almeno la nostra “piccola patria” ne sia quanto più risparmiata.
(Le foto sono per lo più realizzate dall’autore, altre sono dall’immenso patrimonio del ragionier Pilone)