TERMOLI-LARINO. La comunità diocesana ha abbracciato il vescovo, S.E. Mons. Gianfranco de Luca, in occasione del 50esimo anniversario di ordinazione presbiterale. Domenica 25 agosto 2024, nella chiesa di San Francesco, come testimoniato anche dal nostro direttore con le foto pubblicate sulla nostra pagina Facebook, in tanti hanno preso parte alla solenne concelebrazione eucaristica per condividere un momento significativo del suo ministero speso con fede, amore e sensibilità pastorale. Tutti uniti nel ringraziare il Signore per il dono di 50 anni di sacerdozio, di cui 32 anni nella diocesi di Teramo-Atri a servizio delle realtà parrocchiali, in particolare del mondo giovanile, e gli ultimi 18 anni vissuti come Pastore della Chiesa di Termoli-Larino.
Alla presenza dei vescovi di Abruzzo e Molise, del nunzio apostolico Leo Boccardi e di sua eccellenza Domenico D’Ambrosio, del Presbiterio, di religiosi, consacrati, laici, familiari e fedeli Mons. De Luca ha ringraziato ciascuno per la presenza e per l’affetto ricevuto da più parti insieme al messaggio del Santo Padre, Papa Francesco, impartendo, al termine della Celebrazione, unitamente ai fratelli Vescovi, la benedizione papale che ha offerto il dono dell’indulgenza plenaria per tutti i presenti.
“È bello essere Chiesa – ha affermato mons. de Luca in un passaggio dell’omelia (testo integrale allegato) – è bello esserlo in questo tempo di cambiamento e di incertezza. La circostanza del 50esimo anniversario della mia ordinazione sacerdotale, ci invita a gustare e contemplare il Signore Gesù, il Crocifisso-Risorto, Pastore Bello che dà la sua vita per il suo gregge. Di Lui, noi suoi ministri, siamo segno e presenza, chiamati ad essere partecipi del Suo Sacerdozio. È Lui, l’unico sacerdote, che continua, attraverso il presbiterio unito al suo vescovo, la sua azione di pastore e guida, si prende cura di noi, ci sostiene e ci accompagna. Gustiamo e vediamo quanto è buono il Signore, eterna è la sua misericordia – ha aggiunto mons. De Luca – è dentro questo abbraccio, direi dentro questo “manto di tenerezza” che si svolge ogni situazione della nostra vita. La Chiesa, nostra madre, è segno e strumento di questo abbraccio di misericordia“.
La solenne concelebrazione, con la partecipazione del coro diocesano, si è aperta con la presentazione del vicario generale, don Marcello Paradiso (testo integrale allegato): “La Sua testimonianza, i Suoi insegnamenti, le parole e i gesti che ci dona, sono storia che non smette di ricordarci l’importanza di vivere «la missione come un servizio a Dio e al suo popolo», nonostante tutte le difficoltà del cammino. È un percorso impegnativo ed entusiasmante che c’impegniamo a seguire con semplicità, umiltà e vigore. In un mondo investito dal vento dell’indifferenza ci viene riproposta la bellezza e la fatica di un «sì», che è adesione e affidamento totale. Quel «sì», maturato nel seno della comunità cristiana, s’incarna nella fede semplice e pura del Santo Popolo di Dio che motiva e sostiene il dare tutto per il Signore e il suo Regno. Grazie – si legge ancora nel messaggio – perché dopo cinquant’anni non ha perso la gioia di sentirsi chiamato ogni giorno e, con essa, ci sprona ad andare avanti con umiltà e coraggio; soprattutto, conservando una fiducia sconfinata nella misericordia di Dio e dedicandoci, a nostra volta, con generosità al ministero affidatoci”.
Pubblichiamo per i nostri lettori anche il testo dell’omelia pronunciata da monsignor de Luca:
La liturgia della Parola ci ripropone la questione seria della fede: sia Giosuè che, rivolto al popolo convocato in assemblea, dice: “ sceglietevi oggi chi servire”; sia Gesù che, dopo il discorso sul pane di vita pronunciato nella sinagoga di Cafarnao, vedendo che molti discepoli “tornavano indietro”, rivolto ai Dodici, chiede: “Volente andarvene anche voi?”, ci provocano in questo senso.
Oggi, anche noi siamo chiamati in causa, dobbiamo dare una risposta, come singoli e come popolo.
La risposta che prima Giosuè e dopo il popolo danno si fonda sulla memoria viva di quanto la esperienza vissuta fino all’ingrasso nella Terra promessa li ha resi consapevoli. “Il Signore nostro Dio, ha fatto salire i nostri padri dall’Egitto… ci ha fatto uscire dalla condizione servile … perciò anche noi serviremo il Signore”.
Anche Pietro matura la sua risposta dall’evidenza di un’esperienza di condivisione di vita con Gesù. Di fronte al modo con cui Gesù agiva, parlava, spiegava la realtà, nulla era più ragionevole che fidarsi di Lui, anche se il contenuto radicale del discorso di Gesù poteva al momento non essere capito. Non seguire Gesù sarebbe stato rinnegare un’evidenza. Da qui la sua confessione di fede: «Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio»
In ambedue i casi la fede professata è chiamata ad attraversare il crogiuolo della storia e delle sue contraddizioni e aprirsi gradualmente al tutt’Altro del Dio professato e creduto: i primi alla disponibilità di accogliere il dono del cuore nuovo che li avrebbe immessi nell’alleanza nuova e definitiva; Pietro al mistero del Messia Sofferente, al Crocifisso, non affidandosi al suo entusiasmo e alla sua generosità e determinazione, alla sua aspettativa circa il Santo di Dio, ma lasciandosi lavare i piedi dal Signore e Maestro, imparando da Lui, e aprendosi alla misericordia nel cogliere quello sguardo che, attraversando il suo cuore, lo sciolse in lacrime e lo condusse ad un rapporto nuovo con il Signore espresso in quel “Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene”. E nel conseguente rinnovato e definitivo “Seguimi” di Gesù.
Gustate e vedete quanto è buono il Signore. Il ritornello del salmo responsoriale, nel suo essere riproposto per tre domeniche di seguito, in un primo momento mi ha sorpreso, ma immediatamente è risultato anch’esso una provocazione, un invito a rileggere la mia vita e l’intero pellegrinaggio della Chiesa nella storia, alla luce della Presenza del Signore.
Infatti l’orante coglie da quanto vissuto una profonda lezione: il Signore custodisce quanti confidano in lui, li protegge e si prende cura di loro, mente la sorte immanente nella condotta di chi vive centrato su se stesso e confida solo in sé è la rovina. Secondo i Padri, è Gesù , il giusto che con la risurrezione è stato liberato da tutti mali, riassunti nella morte ingiusta vergognosa da lui patita. Sicuramente in lui, nel quale siamo inseriti dal giorno del nostro battesimo, anche ciascuno di noi ha la possibilità di gustare e vedere quanto è buono il Signore e di proclamarlo con la sua vita.
Oggi abbiamo la possibilità di gustare e vedere quanto è buono il Signore.
Gustiamo e vediamo quanto è buono il Signore nella bellezza dell’essere noi, qui, Popolo Santo di Dio, sua Chiesa, radunata nell’unità del Padre, del Figlio e dello spirito Santo, e inviata in ogni angolo della terra a testimoniare la grandezza dell’Amore di Dio. La presenza tra noi dei fratelli Vescovi, successori degli apostoli, fa gustare e rende visibile l’universalità e la unità della Chiesa, e la presenza tra loro di Nunzi Apostolici ci fa consapevoli della cura che il Papa ha per le singole Chiese nazionali e anche dell’azione di pace e di giustizia che Egli promuove attraverso il rapporto con i singoli stati. E’ Bello essere Chiesa, è bello esserlo in questo tempo di cambiamento e di incertezza.
La circostanza del 50° anniversario della mia ordinazione sacerdotale, ci invita a gustare e contemplare il Signore Gesù, il Crocifisso-Risorto, Pastore Bello che dà la sua vita per il suo gregge. Di Lui, noi suoi ministri, siamo segno e presenza, chiamati ad essere partecipi del Suo Sacerdozio. È Lui, l’unico sacerdote, che continua, attraverso il presbiterio unito al suo vescovo, la sua azione di pastore e guida, si prende cura di noi, ci sostiene e ci accompagna.
Gustiamo e vediamo quanto è buono il Signore, eterna è la sua misericordia.
Sto imparando a sussurrare in ogni circostanza felice o avversa, di gioia o di dolore, della vita e della giornata: eterna è la Tua misericordia. È dentro questo abbraccio, direi dentro questo “manto di tenerezza” che si svolge ogni situazione della nostra vita. La Chiesa, nostra madre, è segno e strumento di questo abbraccio di misericordia.
Ho desiderato ri-cor-dare questa realtà impartendo, al termine della Celebrazione, unitamente ai venerati fratelli Vescovi, la benedizione papale, che offre il dono dell’indulgenza plenaria per ciascuno di voi qui presenti.
L’Indulgenza è uno dei modi attraverso cui la Chiesa nostra Madre si fa carico di sostenere la nostra debolezza, affinché ci sia dato di realizzare una conversione profonda ed efficace, eliminando anche «l’impronta negativa» che i peccati – nostri o altrui – hanno lasciato nel mondo.
Certamente come afferma il teologo K. Rhaner «L’indulgenza non sostituisce il difficile lavorio dell’amore […]; essa è piuttosto l’aiuto volto a favorire l’opera sempre difficile dell’amore».
Il dono che riceviamo attraverso la Madre Chiesa ci rimette in gioco pienamente come figli di Dio, con la leggerezza del nostro essere, grazie al Battesimo, santi e immacolati, fatti capaci di amare con lo stesso amore con il quale siamo amati.
Nella lettera agli Efesini, l’apostolo Paolo ci fa la consegna per una vita rinnovata e veramente degna di essere chiamata cristiana, quella di vivere tutta la nostra esistenza e le nostre relazioni nel timore di Cristo.
“Il timor di Dio – dice papa Francesco – non è aver paura di Dio, ma ci fa capire che noi siamo come dei bambini fra le braccia di Dio e, quindi, ci stimola alla riconoscenza, alla docilità ed alla lode, ricolmando il nostro cuore di Speranza”. Ci pone nell’atteggiamento che nasce dalla consapevolezza di vivere abitualmente sotto lo sguardo del Signore, preoccupati di piacere a Lui, piuttosto che agli uomini.
La specificazione paolina, “nel timore di Cristo”, dà un’ulteriore profondità a questo dono dello Spirito Santo. Vivere nel timore di Cristo, significa vivere la nostra quotidianità e le nostre relazioni nella sua Persona. Ai Colossesi, in un contesto analogo di parenesi Paolo scrive: “E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre”. (Col. 3,17). Non si tratta di dire il Nome di Gesù, ma di vivere in Gesù. Vivere in Gesù, fare tutto nel suo nome, significa vivere il suo comandamento, quello dell’amore reciproco tra noi e verso tutti. Sapendo bene che la misura dell’amore è quella sua: dare la vita, perdere se stessi. E’ in questo modo per mezzo di Gesù rendiamo gloria al Padre. Vedano le vostre opere buone, (la fraternità è l’opera buona specifica del figlio di Dio), e glorifichino il Padre vostro celeste.
È a questa possibilità di vita nuova che oggi siamo invitati a ridire il nostro “SI”. Rinnovati anche grazie al dono dell’Indulgenza plenaria, vogliamo farlo con le stesse parole di Pietro:
“Signore, da chi andremo, tu solo hai parole di vita eterna”. (ripetiamolo)
Gesù, come è grande il tuo amore per me peccatore! Mi hai dato di conoscerti; mi hai dato di gustare la tua grazia e di sperimentarne la tua forza nella mia debole esistenza. Mi hai concesso di gustare la tua bontà e la tua misericordia, fa che la mia anima resti fissa in Te, giorno e notte, e non dimentichi mai il tuo amore per me. Solo così sarò capace di riamarti come unico Bene della mia vita, di vivere la fraternità nella tua Chiesa e di donarTi a quanti metti sulla mia strada. Amen.