SANTA CROCE DI MAGLIANO. Una tradizione che si celebra sempre al presente, una devozione che unisce la comunità fortorina e non solo. A Sant’Antonio a Santa Croce puoi incontrare gente di tutta questa parte di Molise che in processione con i carri della tradizione trainati da mucche rendono onore al santo dei Miracoli. Sulla nostra pagina Facebook abbiamo pubblicato tutti e 31 i carri che quest’anno procedono lenti per le strade della cittadina per celebrare il rinnovato amore al santo dei cigli bianchi.
E tra questi ci piace segnalare, non ce ne vogliamo gli altri, che anzi invitiamo a raccontarci anche la loro storia particolare, il carro numero 12 della famiglia Cosco. Lo facciamo, perché abbiamo appreso che questo carro, proprio in questa edizione 2024, compie 50 anni. Lo facciamo con le parole di Regina che ha voluto dedicare una pergamena ricordo all’evento, peraltro fissato a futura memoria anche in un logo celebrativo creato per l’occasione dall’illustratore santacrocese Gianni Mucci.
Regina scrive “alla tradizione del mio carro di Sant’Antonio che, dopo 50 anni, celebro con rinnovato amore. Prima che la pandemia da Covid19 ci privò della cara esistenza terrena di Francesco Casciano, ultimo rappresentante della ‘vecchia scuola’ della tradizione santacrocese, ebbi la fortuna e il piacere di intervistarlo; fu la sua ultima intervista.
Col suo fare pacato, aprendosi ad un racconto ricco di aneddoti – senza che io glielo chiedessi – mi diede conferma che nel 1974 mio nonno, Cosco Antonio, riprese la pratica festiva del ‘fare carro’, tradizione allora caduta in disuso. Nonno ricominciò a fare il carro di Sant’Antonio circondato da altri uomini mossi, come lui, dalla devozione al Santo di Padova, riprendendo al contempo il rito (direi, imprescindibile) della questua per le campagne che, nella tradizione dialettale locale, passa come ‘a cerche’.
Per lungo tempo, qui come altrove, la pratica del ‘fare carro’ si caratterizzava per la forte impronta maschile: non vi erano ancora donne e intere famiglie al seguito dei carri, e il carro – oggi inteso propriamente come mezzo agricolo ad uso cerimoniale con i nomi degli intestatari che lo detengono – in quegli anni veniva prestato o ceduto, per devozione, da coloro che ne possedevano ad altri che ne curassero l’allestimento.
Dopo mio nonno, mio padre Vincenzo volle portare avanti quanto gli era stato trasmesso dal padre, complice la sua passione per gli animali e il sostegno di amici che condividevano la stessa passione per le tradizioni del luogo – i suoi inizi sono anch’essi da abbinare agli anni delle cerchie di soli uomini e dei carri che mutavano negli assetti organizzativi.
Oggi, da quel 1974, sono passati 50 anni: nonno non c’è più. Forse, quel carro non sarà lo stesso di quando lui incominciò, ma la pratica festiva del ‘fare carro’ certamente sì: la sua devozione trasmessa di padre in figlio consolidandosi, nei decenni, è divenuta una vera e propria tradizione di famiglia. La mia famiglia. Così è trascorso mezzo secolo: ho visto una donna in tutta la sua resilienza, mia nonna Regina, che nel vestirlo il carro quel marito lo ha sentito vicino per anni, anche dopo la sua dipartita; ho visto i suoi figli, mio padre Vincenzo e mia zia Ida, ereditarne il senso e tramandarne l’essenza; ho visto giovani avvicinarsi a loro, per poi scegliere di proseguire sulla loro strada per allestirne uno proprio di carro; ho visto, mia madre Maria e mio zio Nicola, avvicinarsi anch’essi a questo cerimoniale sulle orme della famiglia a cui hanno scelto di legarsi; ho visto, mio fratello Antonio, prendere il nome di battesimo del nonno e del Santo Patrono, e festeggiarli ‘tutti’ il 13 giugno; ho visto, mio cugino Luigi Pio, che da ultimo arrivato non ha tardato nel fare sue le sfumature della tradizione del carro; ho visto cugini e zii esserci sempre; ho visto Nunziella, la nostra sarta, la cui presenza fissa in casa – a giugno – è una puntuale rassicurazione; ho visto utilizzare e cucire stoffe di ogni colore per poi (più di recente) darci al colore bianco, diventato quasi una cifra stilistica (per alcuni, ripetitiva) nella vestizione del nostro carro; ho visto mucche da abbeverare e da guarnire a festa; ho visto uomini, donne e animali in cammino; ho visto che la sacralità e il senso di appartenenza in queste giornate passano in ogni cosa; ho visto che a nascerci, difficilmente, potrai privartene o morirne senza”.
Parole che lasciano chiaramente intendere la bellezza della sacralità che ogni famiglia santacrocese, che ha un carro, vive in questo periodo dell’anno in onore del santo patrono, Una sacralità di gesti da tramandare ai posteri.