LARINO. Nei giorni scorsi, presso la Chiesa Conventuale di frati minori cappuccini di Larino, i frati e l’OFS hanno promosso un incontro sul tema: “Abbracci di sguardi e parole – apriamo le porte del cuore per far vivere la speranza”. Un racconto a tre voci nel mondo dei progetti di accoglienza verso le persone migranti a cura di Rosa Salvato, Rossella Riccelli e Rachelina Carmosino.
La famiglia francescana si è fatta portatrice di questo evento stimolata da quanto l’ofs propone a livello nazionale attraverso la tematica dell’anno: “Umanità disinteressata”. La direzione che tale espressione vuole indicare è naturalmente quella evangelica, che il santo padre papa Francesco con tanta sollecitudine ci invita a percorrere: essere testimoni che nella gratuità, nel coinvolgimento proprio di “Coloro che hanno a cuore” promuovono l’accoglienza; portatori di quella speranza che, come una porta, ci apre agli altri, a coloro che molte volte vengono “scartati” ed emarginati. Attraverso il racconto delle operatrici che hanno apportato l’esperienza del proprio lavoro-missione a contatto con le persone migranti ci sono state rivolte, parole altre, parole che avvicinano anziché allontanare, parole che abbracciano piuttosto che ferire, parole attraverso le quali è risuonata la Sua Parola, quella di Cristo. E a conferma di quanto il santo padre in tante occasioni ci invitava ad assumere come stile di vita, ancora una volta, nell’incontro con l’Azione Cattolica del 25 aprile in piazza San Pietro così, lo stesso papa Francesco, ci ha così esortato: “avere la cultura dell’abbraccio perché c’è un abbraccio che manca, un abbraccio che salva e un abbraccio che cambia la vita nella carità, come atleti e portabandiera di sinodalità”. E in questo tempo in cui viviamo così frammentati, in cui le relazioni sembrano complicarsi, quando la chiusura e la paura sembrano avere il sopravvento, quanto ciascuno di noi avverte forte il bisogno di sentire quell’abbraccio! Tra gli “esperti” di abbracci e di umanità il nostro serafico padre San Francesco ci fornisce un meraviglioso esempio attraverso l’abbraccio al lebbroso. Sarà infatti proprio questo episodio a condurre il giovane Francesco sulla via della santità. Anche se sono trascorsi otto secoli da quando egli percorreva le nostre strade quanto è ancora attuale la sua scelta di farsi prossimo a ogni uomo e quanto ha ancora da trasmettere a tutti noi!
Attraverso il racconto proposto dalle operatrici si è voluto dare un piccolo contributo per cercare di smuovere le coscienze, per provare a superare i pregiudizi e a far conoscere il fenomeno migratorio, perché solo la conoscenza permette di abbattere i muri delle divisioni e delle incomprensioni che riguardano anche tale realtà, tanto complessa quanto dolorosa.
Un incontro o più incontri, naturalmente non riusciranno a dare tutte le risposte sul fenomeno migratorio che non è più un’emergenza ma una realtà che si vive quotidianamente, anzi probabilmente si genereranno interrogativi, ma proprio questi ultimi potrebbero significare che dobbiamo imparare a sederci allo stesso tavolo e/o mensa e insieme strutturare percorsi, attivare cammini, seminare insieme come tanti agricoltori, quei semi di speranza e di tenerezza capaci di guarire le ferite prima dei nostri cuori e poi proprio di quei cuori più colpiti. Il gesto del seminatore infatti è solo l’inizio di un processo il cui esito è misterioso e non del tutto controllabile, né certo nei risultati, ma bisogna sempre e comunque attivarlo perché la speranza ci fa credere anche nell’inatteso: “Il trenta, il sessanta, il cento per uno” (Dal Vangelo di Marco 4,8).
Le relatrici hanno descritto, in sintesi, alle persone presenti al suddetto incontro, il Sistema di Accoglienza e Integrazione SAI. Esso è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. A livello territoriale gli enti locali, con il prezioso supporto delle realtà del terzo settore, garantiscono interventi di accoglienza integrata che, oltre ad assicurare servizi di vitto e alloggio, prevedono in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.
Il progetto SAI del Comune di Termoli, in partenariato con il Comune di Ururi e Larino, è stato avviato nell’anno 2011 ed è attualmente gestito dalla Cooperativa Sociale Medihospes, ad oggi può accogliere 114 beneficiari (sul territorio termolese 57 posti, ururese 35 posti e larinese 26 posti). A Termoli e a Larino l’alloggio degli ospiti è garantito in appartamenti, ad Ururi anche in un centro collettivo per 15 posti che accoglie solo donne con o senza minori e 20 posti dislocati in 4 appartamenti. Il progetto SAI del Comune di Larino è stato avviato nell’anno 2014 e può accogliere 40 beneficiari ed è gestito attualmente dall’Istituto Gesù e Maria, qui le persone accolte sono dislocate in 9 appartamenti.
La gestione di un progetto di accoglienza richiede la presenza di un’equipe multidisciplinare in grado di rispondere alle differenti esigenze dei beneficiari, a tal fine essa viene suddivisa nelle seguenti aree:
– area socio-sanitaria;
-area legale;
-area psico-sociale;
-area socio-scolastica ed alfabetizzazione;
-area socio-professionale e integrazione.
Per facilitare l’accoglienza integrata, la comunicazione e la relazione tra il beneficiario, gli operatori del progetto e il territorio è prevista la figura professionale del mediatore interculturale (egli stesso immigrato); questi infatti svolge un ruolo importante all’interno del piano individualizzato del beneficiario che deve essere impostato, seguito e monitorato con l’obiettivo di supportare il percorso personale di autonomia e inclusione sociale dello stesso.
Generalmente chi arriva nei progetti SAI porta con sé un bagaglio che noi possiamo solo lontanamente immaginare poiché non è fatto di vestiti ma solo di vita vissuta, esperienze e soprattutto tanta speranza. Tante persone sono costrette a scappare dai propri paesi di origine come la Nigeria, la Tunisia, il Bangladesh, l’Afghanistan, Siria, Costa d’Avorio, Eritrea, Guinea, Pakistan e Iran ecc. a causa di guerre, difficoltà economiche, persecuzioni, crisi climatiche e mancanza di lavoro.
Durante uno degli interventi un’operatrice ha riportato la personale esperienza vissuta durante il primo festival “Sabir”, la lingua comune dei marinai del Mediterraneo fino all’inizio del secolo scorso, evento svoltosi a Lampedusa il tre ottobre 2014, anno in cui ricorreva la commemorazione delle 368 vittime del naufragio avvenuto nel 2013. Il festival nasce per dar voce a quel Mediterraneo che non vuole arrendersi alle morte di frontiera e alla criminalizzazione delle persone in movimento e vuole dare voce alla solidarietà. Persone costrette a lasciare la propria patria per motivi sconvolgenti finiscono col trovarsi in situazioni altrettanto insopportabili. Si lascia un ambiente conosciuto per entrare in una nuova realtà dove si parla una lingua diversa, dove tutto si fa in modo differente, dove le abitudini, le tradizioni, la mentalità sono sconosciute e dove anche il cibo è diverso. Quale deve essere la tragedia che vivono coloro che fuggono dalla terra natia! In effetti, non si lascerebbe la propria patria se in essa si potesse vivere con dignità, benessere e sicurezza, singolarmente e con la propria famiglia.
Particolare rilievo è stato dedicato alla figura femminile, che spesso, insieme ai minori, è il soggetto più vulnerabile di tutto il fenomeno migratorio. Essa nel proprio paese di provenienza e nel nucleo familiare di appartenenza viene considerata come il primo soggetto da sacrificare per il benessere della famiglia della cui sopravvivenza, quindi, le viene addossato il pesante carico.
Le donne reclutate nel proprio paese di origine molte volte vengono portate fino in Europa con lo scopo dello sfruttamento, fenomeno questo in continua evoluzione, i trafficanti cambiano strategia, rotte e modalità a seconda delle necessità e delle leggi poste in essere in contrasto della migrazione irregolare e dello sfruttamento in ambito sessuale, lavorativo e smuggling, economie illegali e accattonaggio. Tra le azioni più abbiette che l’essere “umano” possa commettere ci sono sicuramente la tratta, la schiavitù e lo sfruttamento di esseri umani…dietro una vittima c’è sempre una storia drammatica e chi le attua spesso è lo stesso trafficante di armi e droga, e certamente non possiamo permettere che il dramma possa verificarsi nei nostri paesi europei.
Un’accoglienza degna si può realmente garantire come diritto solo se esiste un clima culturale e di solidarietà diffusi in tutto il contesto territoriale ospitante e se nel territorio stesso esiste una rete solida tra ente locale, ente gestore, associazione e la Chiesa. Noi, comunità di cristiani dobbiamo recuperare la consapevolezza di avere un ruolo speciale, in questo tempo che abitiamo, in quanto possiamo avere l’occasione per manifestare pienamente il nostro credo. Il credente, proprio in quanto tale, deve recuperare la vocazione-missione di riuscire a vedere nel volto di chi soffre il crocifisso; in tal modo realizzerà la Parola di Dio e non alte parole, e sperimenterà con il coinvolgimento della propria vita l’essere tutti figli di un unico Padre…e quell’abbraccio negato potrà finalmente concretizzarsi. Sarà il frutto maturo di quel piccolo seme seminato sulle strade di questo nostro mondo.
Elena Miranda (ofs Larino) e le operatrici dottoressa Rosa Salvato, dottoressa Rossella Riccelli, dottoressa Rachelina Carmosino.