di Pino Miscione
LARINO-CAMPOMARINO. Qualche settimana fa è sorta una polemica circa l’opportunità o meno di veder realizzato un Museo archeologico nel territorio del comune di Campomarino «con l’obiettivo di raccogliere e valorizzare in una adeguata sede espositiva i rinvenimenti archeologici di notevole importanza giacenti nei depositi della Soprintendenza del Molise». Alcune associazioni larinesi hanno evidenziato proprio dalle pagine di questa testata web che nella località costiera «rarissimi sono stati finora i ritrovamenti archeologici. Vi è un piccolo e interessante insediamento arcaico, ma ritrovamenti di questo tipo esistono in tutto il Basso Molise». Per amor del vero e per completezza d’informazione, credo utile aggiornare questo dato con più recenti conoscenze desunte dalla ricerca archeologica, le quali hanno permesso il rinvenimento presso Campomarino di un’area che costituisce un unicum in tutto il territorio basso-molisano.
“Importuosa”, definivano sbrigativamente la costa dell’attuale Molise gli storici antichi Livio e Strabone. Plinio riporta invece che nel I sec. d.C. le foci del Trigno e del Fortore erano utilizzate come approdi. Nulla viene detto riguardo al Tifernus, il nostro Biferno, fiume che con i suoi 60 km di lunghezza dalla costa al Matese, fin dalla preistoria consentiva il collegamento con le aree montuose più interne e, sfruttando il passaggio ad altre vallate fluviali – del Tammaro e del Volturno soprattutto –, permetteva di raggiungere il Sannio Irpino e la Campania. Intorno alla metà del IV sec. a.C., per volontà dell’emergente potere romano, il Biferno venne a costituire la linea di smembramento dello Stato frentano, segnando il confine tra il territorio rimasto tale, a nord, e quello che a sud andò a formare una vera e propria Respublica Larinatium, unita in fœdus con Roma, estesa fino alle rive del Fortore e dotata di una monetazione propria. Linea naturale di frattura – il Biferno – giustificata oramai anche da importanti connessioni economiche con il territorio dauno, tali da spingere Augusto ad inglobare quest’area centro-meridionale del versante adriatico nella regio II Apulia et Calabria (per Calabria è da intendere la Terra d’Otranto). Tra il Biferno e il Fortore si determinerà nei primi secoli cristiani il potere giurisdizionale dei Vescovi di Larino, con la creazione della Diocesi.
Alcune fonti più tarde risalenti all’epoca altomedievale, una cartula venditionis degli anni 828-832 e un breviarium redatto dopo l’anno 1000, rilevano la presenza di un porto alla foce del Biferno, mentre se ne trovava sicuramente un altro più a nord, nei pressi dell’abitato di Termoli, verosimilmente pertinente all’antica città di Buca. La presenza di un porto bifernino è confermata dallo schizzo della torre vicereale di Campomarino, ora totalmente scomparsa, accluso alla relazione della visita fatta alle Torri di Capitanata dal marchese Carlo Gambacorta di Celenza nel 1594, nel quale alla foce del Biferno compaiono tre navi all’ancora e un traghetto protetti dalla torre. Va messo in evidenza che la linea di costa di questo tratto è andata nei secoli più volte modificandosi a causa di fenomeni naturali quali l’erosione ovvero l’impaludamento e l’insabbiamento dovuti ai continui apporti alluvionali del fiume, fenomeno sensibilmente acuitosi dopo la costruzione della linea ferroviaria che segue il litorale. La ricerca di un porto alla foce del Biferno si presentava pertanto alquanto complessa.
Sulla base di queste antiche fonti, a partire dal 2007 un’équipe coordinata dal prof. Gianfranco De Benedittis ha avviato alcune campagne di scavo nell’area della riva meridionale dell’estuario del Biferno, precisamente in località Marinelle Vecchie di Campomarino, posta tra la sponda del fiume e la SS 16 Adriatica, a ridosso della linea ferroviaria. I risultati, presentati in alcune pubblicazioni, avvalorando il dato storico così portano a concludere: “Il rinvenimento di resti di un importante insediamento romano collegato ad attività portuali ha dato ampia conferma che si tratti di un’area di alto interesse archeologico che è stata oggetto di una frequentazione assidua da parte dell’uomo almeno già a partire dai tempi sannitici, in particolare tra il IV sec. a.C. e il VII sec. d.C.”.
In particolare, le diverse fasi di scavo, seppure circoscritte e parziali, hanno portato alla luce un’ampia area con resti strutturali lungo la riva del fiume, dai quali è affiorata una non comune quantità di frammenti di anfore, tra le quali diverse di provenienza egea e africana, tali da far pensare effettivamente a un’antica intelaiatura portuale, della quale una fase posteriore potrebbe essere collocata in un periodo successivo al devastante terremoto del 346 d.C. L’esteso insediamento trovò la sua naturale conclusione nel VII sec. d.C., quando di esso scompare ogni traccia, così come avvenne nell’Italia meridionale in diversi altri casi consimili. Nell’area, rinvenuta anche una necropoli densamente frequentata, utilizzata nel corso di più fasi poiché dislocata su tre livelli stratigrafici diversi; essa è stata solo parzialmente scavata benché stravolta dai lavori di aratura; alcune tombe presentano una copertura “a massetto”, hanno forma quadrangolare con pareti ottenute da embrici disposti di taglio; una è terragna, cioè scavata direttamente nella nuda terra, mentre una decina è del tipo “a cappuccina”, vale a dire con copertura ottenuta mediante la disposizione di tegole ad angolo acuto.
In superficie anche materiale archeologico riferibile alla presenza di strutture edilizie di grosso pregio ornate da mosaici policromi e pavimenta sectilia, probabilmente pertinenti a un edificio ecclesiastico, forse una basilica, prossimo alla necropoli. Nei pressi, difatti, anche il rinvenimento di un frammento di un’iscrizione funeraria cristiana su lastra di marmo– la terza recuperata in territorio molisano – databile tra la seconda metà del V e gli inizi del VI sec. d.C. Ha destato interesse il ritrovamento di un peso quadrato di bronzo ricoperto da una patina d’argento, collocabile cronologicamente al IV sec. d.C. o anche ad epoca più tarda, durante la dominazione bizantina di quest’area costiera (VI sec. d.C. e oltre). Reperite anche diverse decine di monete di bronzo, quasi tutte collocabili tra il IV e il VI sec. d.C.
L’area venne utilizzata continuativamente, come detto, dal III sec. a.C. al tardo VII sec. d.C., con una più intensa attività presumibilmente svolta intorno al IV sec. d.C. La dimensione di terreno interessata dalla presenza di reperti archeologici, le prospezioni e la qualità dei materiali raccolti, tra cui marmi pregiati e lacerti riconducibili a diversi mosaici, lasciano pensare a un centro di una certa consistenza, plausibilmente in relazione con la vicina città romana di Larinum, di cui costituiva una sorta di ἐπίνειον (scalo portuale), controllato nella sua ultima fase dai Bizantini.
Recentemente, un pregevole, innovativo studio sulla città di Larinum edito dalla Oxford University Press, ora tradotto in Italiano per i tipi di Cosmo Iannone Editore, di cui è autrice l’archeologa americana Elizabeth C. Robinson, approfondisce queste nuove acquisizioni relative al porto romano sulla sponda larinate del Biferno nel loro stretto legame con le molteplici attività economiche inerenti la città e il suo territorio. In particolare, si è potuta riconoscere la specifica funzione di alcune decine di insediamenti abitativi, già individuati come villæ nelle precedenti ricognizioni archeologiche (Barker e De Felice), disseminati segnatamente in territorio larinate lungo la valle del fiume, che più propriamente vanno invece riconosciuti in buona parte come piccoli villaggi, fattorie, centri di produzione – ma non certamente villæ –, già esistenti prima dell’assimilazione di Larinum nello Stato romano dopo la Guerra sociale, come farebbe pensare il ritrovamento di reperti litici di produzione locale e di provenienza ellenica assegnati al IV e al III sec. a.C., i quali avvalorano l’esistenza di rapporti dell’area larinate con l’altra sponda del mare databili ad età anche più remote.
Coloro che abitavano in questi siti erano certamente interessati ad una connessione col fiume, a quell’epoca comodamente navigabile, e con il porto ubicato alla sua foce, tanto da far pensare a una rilevante attività marittima nell’area anche con scambi con centri posti al di là dell’Adriatico e dell’Egeo, senza ovviamente escludere i porti italici, pure tirrenici, compresa la stessa Ostia, il porto di Roma. Questi insediamenti produttivi nella vasta area in gran parte pianeggiante posta sulla riva larinate del Biferno erano certamente giustificati dalla fiorente attività agricola e pastorale che vi si svolgeva, tale da permettere in alcune epoche di beneficiare di un considerevole surplus produttivo che necessitava di essere esportato. Di queste molteplici attività economiche abbiamo d’altra parte ben precisi riferimenti anche nelle fonti scritte: ricordiamo i prædia, i negotia e leres pecuarias ai quali accenna Cicerone nella sua orazione che più ci riguarda, laddove riporta l’interesse di alcuni possidenti dell’ager Larinas nell’esito del processo istruito contro Cluenzio.
La presenza di un’antica strada romana, la Via Litoranea, che correva parallela alla costa e che si raccordava in territorio larinate con una direttrice transappenninica che collegava con le aree interne del Sannio e con la stessa Roma, rendeva ancor più nevralgico il ruolo di questo porto come rilevante centro di scambi commerciali e culturali, di cui si sarebbero avvantaggiate le élite cittadine, capaci grazie anche ai comodi collegamenti marittimi e terrestri di consolidare e di mantenere stabili i rapporti con la Capitale, fino ad arrivare in età augustea per due volte al consolato con la gens Vibia.
In conclusione, quantunque si possa comprendere che la comunità campomarinese, in ragione della sua naturale vocazione turistica abbia validi motivi per chiedere che questo patrimonio archeologico venga convenientemente valorizzato, non si può prescindere dal significato che esso ha rappresentato per un’area molto più vasta. Non entro perciò nel merito circa l’opportunità di richiedere l’istituzione di un vero e proprio Museo archeologico, seppure a vocazione prettamente comunale. Una seria gestione della questione suggerirebbe, com’è naturale vista l’importanza di quest’area portuale per la città di Larinum, di cui essa costituiva il terminale marittimo, che i reperti ivi rinvenuti abbiano a trovare un’adeguata collocazione all’interno del contenitore museale che, da diversi lustri ormai, si sta cercando di veder realizzato all’interno della Villa Zappone, con l’istituzione del “Museo della Civiltà Frentana” nel Parco archeologico che di quella porta il nome. È da auspicare che alla nascente controversia si possa trovare una soluzione ragionevole che non penalizzi nessuna delle parti.
Bibliografia:
G. De Benedittis (ed.), Il porto romano sul Biferno tra Storia e Archeologia, Campobasso, Visto si stampi, 2008.
G. De Benedittis, M. Pagano, Il porto tardo romano sulla foce del Biferno, Fastionline (2010) 186.
G. De Benedittis (ed.), La necropoli di Marinelle Vecchie. Campagne di scavo 2009-2010, «Considerazioni di Storia ed Archeologia. I Quaderni», III, Campobasso 2013.
E.C. Robinson, Urban transformation in ancient Molise. The integration of Larinum into the Roman State, New York (NY), Oxford University Press, 2021.
Illustrazioni tratte dai testi indicati in Bibliografia