LARINO. ‘L’uomo alto con tutta la sua forza, la sua passione si è preso in carico l’onere di raccontare l’importanza della sua amata città, di ricercare atti e documenti riuscendo a capire il passato e la sua importanza per portarlo al presente e donarlo ad ognuno di noi”.
Prendiamo spunto da una citazione fatta dal professor Robert Gardner e citata da Aristide Vitiello per introdurre la presentazione del nuovo libro ‘Note inedite sui Santi Martiri Larinesi’ di Giuseppe Mammarella (Peppino per tutti) svoltasi, ieri sera, giorno del suo compleanno, nella sala Freda del Palazzo Ducale frentano. Una citazione che insieme alle parole pronunciate da tutti i presenti, in primis, dal vescovo Gianfranco De Luca (le cose grandi nascono dal servizio anche invisibile svolto nelle segrete stanze di un archivio) meglio descrivono l’uomo e lo studioso Mammarella e, nello stesso tempo, la gratitudine che da più parti è espressa nei confronti di colui che fin dalla sua gioventù si è interessato della storia della sua amata Larino e, ‘scavando’ nei meandri degli archivi ha riportato alla luce, al presente capitoli interi di vicende, ecclesiastiche e non, di cui ancora oggi la città frentana deve andarne fiera e prenderne spunto per traghettarle al futuro.
Al tavolo dei relatori, accanto all’autore, hanno preso posto il presidente del Lions club Pasquale Gioia, il rappresentante del Gruppo Animatori Centro storico e Terra Sana Molise Aristide Vitiello e don Mario Colavita. Il volume, piccolo in fatto di pagine, ma dall’elevato valore storico-religioso e culturale è stato pubblicato grazie al contributo delle associazioni suddette, dai lions in particolare, che da 40 anni interagiscono per produrre volumi che oggi risultano introvabili.
Prima di addentrarsi sulle novità rinvenute dal Mammarella in uno scritto apocrifo del settecento sulla vita dei tre martiri larinesi, è intervenuta l’assessore alla cultura del centro frentano Iolanda Giusti per i saluti istituzionali attraverso i quali ha espresso la gratitudine della comunità al Mammarella per l’opera che da sempre svolge al servizio dell’intera comunità molisana, e non soltanto larinese. Il vescovo De Luca ha ribadito nel suo intervento di saluto il valore assoluto della città di Larino che va custodito e proposto grazie a uomini come ‘Peppino che nel servizio invisibile che svolge nelle segrete stanze dell’archivio diocesano ha saputo leggere la storia e sa valorizzarla e ci consente di non restare fermi al passato”. Il consigliere regionale Mario Cofelice ha poi portato i saluti dell’intera assise regionale e ribadito la vicinanza della stessa ad iniziative culturali di tale spessore.
Illuminante e piacevole poi la lectio magistralis di don Mario Colavita che citando più volte Giovanni Paolo II ha ricordato come “la testimonianza dei martiri affascina, genera consenso, trova ascolto e viene seguita… Il martire, insomma, provoca in noi una profonda fiducia, perché dice ciò che noi già sentiamo e rende evidente ciò che anche noi vorremmo trovare la forza di esprimere“.
Il teologo, colui che ha scritto decine di volumi partendo proprio da testi apocrifi, ha deliziato il folto pubblico presente con una lezione sui martiri e di come sia giunto al presente il loro culto, compreso naturalmente quello per i tre martiri larinesi che nel libro di Mammarella trovano una loro collocazione storica, una spiegazione dei loro nomi ed anche una spiegazione a quel detto ‘gente pessima di Larino’ attribuita al primo dei tre, ossia Primiano.
Un volume, quello di Mammarella (arricchito anche dalle immagini del testo originale, del ‘Passionario’ che è stato integralmente trascritto e tradotto dal latino all’italiano da Padre Luigi Capozzi dell’ordine degli Scolopi e conservato nell’archivio storico diocesano a Larino) che è l’ennesima dimostrazione di come quell’uomo alto, per citare ancora una volta Gardner, abbia saputo e continua a farlo, interessarsi di quell’immenso patrimonio custodito nell’archivio e di come, nel silenzio, sappia portare a nuova luce testi che senza di lui sarebbero rimasti ‘sepolti’ dalla polvere.
Per i nostri lettori, grazie alla disponibilità di don Mario Colavita arricchiamo il nostro articolo con la sua lectio magistralis.
“C’è un avvocato del II secolo si chiama Tertulliano (160 – 240 d.C.) ci ha lasciato tante testimonianze circa la sua epoca ha detto “non possiamo contare i martiri”; “Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani”.
La Parola Martire: In greco Martys viene probabilmente dalla radice SMER= ricordare, avere preoccupazione; MERMEROS=ciò che richiede molta riflessione; in latino abbiamo memor, memoria. Martire, sarebbe perciò uno che si ricorda, dal suo ricordo trae conoscenza di qualcosa e quindi può darne notizia, cioè il testimone. Nel mondo greco Martys è il teste in un processo colui che dà testimonianza diretta dei fatti, l’atto del testimoniare è espresso dal verbo Martyrein. Nel tempo anche la parola che designava la testimonianza di fede e la morte si impose rispetto al termine latino testis. Nel giudaismo troviamo i martiri pensiamo alla passione dei fedeli al tempo dei Maccabei, abbiamo martiri tra i rabbini Aqiba.
Abbiamo martiri tra i profeti Isaia, si crea così un’idea forte dell’uomo pio che dinanzi alla sofferenza e nella persecuzione e nella morte dà prova della sua fedeltà alla religione e alla legge.
NEL Nuovo Testamento IL PRIMO MARTIRE È GESÙ che dà testimonianza di sé proprio in ambito giudiziario. Il sommo sacerdote gli chiede di dire se è veramente il Cristo, lui dichiara di essere il figlio dell’uomo. La Parola martire nel tempo, stiamo già dal II secolo acquista il valore di colui che dà testimonianza anche sotto minaccia di morte
I CRISTIANI E L’IMPERO ROMANO
Presenza cristiana anche tra le classi aristocratiche già la troviamo nel I secolo. I cristiani erano cittadini romani e si sentivano sicuri, né vedevano nella loro professione di fede qualcosa che potesse contraddire il loro impegno civile. Dobbiamo ricordare che le chiese cristiane si affermarono quasi esclusivamente tra il I e il IV secolo in un ambiente pressoché urbano nelle città. (Pagus- pagis) Il cristianesimo, poi si diffuse in questi centri, attecchì non solo per l’idea di una vita beata dopo la morte e della resurrezione, ciò che fece breccia fu un motivo molto più pratico: la solidarietà.
Le comunità cristiane offrivano concretamente aiuto e sostegno ai meno abbienti o miseri, i poveri, gli ammalati, le vedove, gli orfani, per alleviare e affrontare le difficoltà della vita specie a partire dalla metà del II secolo dove vediamo il diffondersi di crisi economiche periodi di carestia, crescente insicurezza. La solidarietà tra i cristiani e la carità anche nei confronti di chi non era della stessa fede aiutò fortemente nuove conversioni. Il rapporto con l’impero. Stando alle raccomandazioni di Paolo alla chiesa di Roma: “Ciascuno sia sottomesso alle autorità superiori: non c’è autorità se non da Dio, e quelle che esistono sono ordinate da Dio” (Rm 13,1).
Sino alla seconda metà del II secolo le comunità cristiane e i cristiani non ebbero tanti problemi di persecuzione. Anche se erano contrari ad alcuni usi romani (spettacoli, la promiscuità, le ostentazioni di lusso) i cristiani vivevano senza problemi inseriti nel mondo pagano che li circondava. Alcuni comportamenti cristiani potevano portare alla condanna capitale. Basti pensare al rifiuto del culto all’imperatore, la pratica di onorare gli dei. Anche in questo si dava una testimonianza di fede.
IL CULTO DEI MARTIRI CRISTIANI: GLI ACTA E PASSIONES
A quello che sappiamo fu la comunità di Smirne a ricordare dopo il martirio del suo vescovo Policarpo (155) con una celebrazione. Nascono così degli scritti “celebrativi” gli acta, le passiones, Attraverso questi ACTA sappiamo di come e dove è avvenuta una esecuzione capitale, sappiamo ad esempio del martirio di Perpetua e Felicita, Agatha, Cecilia (solo per fare alcuni nomi importanti per la tradizione). Gli acta sono dei resoconti dei processi e di esecuzioni inflitti ad uno o più cristiani in ragione della loro fede. Non è la descrizione del procedimento verbale giudiziario semmai da questi ha preso spunto.
LE PASSIONES sono le narrazioni di lotte e dolori culminanti nella morte del martire. L’intento degli acta e delle passiones è quello DI CONFERMARE CHE IL MARTIRE È ASSOCIATO A CRISTO, è il continuatore della passione di Cristo. Per cui il luogo del martirio è un luogo venerato in cui si ricorda la passione di Cristo incarnata nel martire. Gli atti e le passiones venivano lette come ricordo del giorno memoriale del martire sul luogo del martirio. Pensiamo ai primi luoghi memoriali: il martirio di Stefano a Gerusalemme, in cui ancora oggi si fa memoria nel giorno tradizionale della sua passiones. Sappiamo di una pellegrina del IV secolo Egeria che la liturgia della chiesa di Gerusalemme era una liturgia stazionale. Cioè il vescovo nel giorno memoriale si riuniva assieme al popolo e la faceva memoria dell’avvenimento…
Così possiamo immaginare degli acta e passiones utilizzati per una sorta di liturgia stazionale. Ad esempio i cristiani di Smirne esprimono la loro intenzione di “riunirsi in gioia e allegrezza per celebrare la ricorrenza del martirio di Policarpo”. Riunirsi nel giorno commemorativo è “allenamento e preparazione di futuri martiri” (Martyrium Policarpi 18,3). Cipriamo di Cartagine ad esempio dice che “Offriamo sacrifici in loro memoria ogniqualvolta celebriamo il giorno anniversario e le passioni dei martiri” (Lettera 39,3).
GLI ACTA venivano redatti da impiegati imperiali. Ora il giudizio poteva avvenire in forma pubblica o in secretarium (in un luogo inaccessibile al pubblico). Ad esempio il giudizio dei martiri scilitani avvenne in forma privata quello di Perpetua in forma pubblica. Gli atti venivano custoditi dalle autorità in archivi. Anche la chiesa aveva degli archivi dove poteva attingere gli atti dei martiri. Ora la compilazione di questi atti non sempre descriveva l’accaduto soprattutto per i processi privati. Attraverso voci, testimoni oculari, venivano redatti le passiones che supplivano alla mancanza di atti autentici. La compilazione delle passiones e degli acta risentiva della mano del redattore che non sempre aveva notizie di prima mano. Così nel tempo questi scritti vengono “aggiustati” per meglio sensibilizzare il popolo. È il caso della preghiera lunga che san Policarpo di Smirne recita sul rogo (non sappiamo se sia vera), che il redattore ha messo sulle labbra del martire. La passione di Policarpo: Un po’ leggendaria, in essa scivolano fatti veri e inventati, tradizioni e culto. Saputo dell’imminente arresto Policarpo si ritira in campagna con i suoi fedelissimi. Ha un sogno in cui vede che il suo cuscino è bruciato, esclamò: sarò arso vivo. Poi l’arresto e il pubblico processo. Il Processo: Maledici Cristo, gli dice il proconsole: sono 86 anni che lo servo e mai mi ha fatto torto. Come posso bestemmiare il mio re e Salvatore? Di Policarpo si racconta che portato al luogo del martirio tutti lo vogliono toccare, i soldati lo vogliono inchiodare prima di essere bruciato e lui rifiuta e dice:
«Lasciatemi così: perché colui che mi dà la grazia di sopportare il fuoco mi concederà anche di rimanere immobile sul rogo senza la vostra precauzione dei chiodi».
La preghiera è così bella e curata che possiamo pensare che il redattore l’abbia ideata. Il redattore non fa altro che presentare il martire in preghiera per la Chiesa.
La preghiera è del redattore: Signore, Dio onnipotente, Padre del tuo diletto e benedetto Figlio Gesù Cristo, per mezzo del quale ti abbiamo conosciuto; Dio degli Angeli e delle Virtù, di ogni creatura e di tutta la stirpe dei giusti che vivono al tuo cospetto: io ti benedico perché mi hai stimato degno in questo giorno e in quest’ora di partecipare, con tutti i martiri. Di Policarpo si dice che fu uno speciale testimone (martire) e che tutti volevano emulare il suo martirio perché avvenne secondo il vangelo di Cristo. Nella passione di Perpetua ad esempio leggiamo che il procuratore Ilariano invita con forza Perpetua a sacrificare agli dei, fallo per la vecchiaia di tuo padre e per la giovanissima età di tuo figlio. Fa il sacrificio per la salute degli imperatori!. Perpetua rispose: No, non lo faccio. Sei cristiana disse il procuratore, rispose: si, sono cristiana!.
Gli atti dei martiri di SCILI
Negli atti dei martori scilitani, un villaggio vicino Cartagine circa 180-18, viene riportato il giudizioni dei martiri Sperato e a altri compagni. Il proconsole Saturnino disse:
Voi potete meritarvi l’indulgenza del nostro signore, l’imperatore, se tornate ad aver senno. Sperato: noi non abbiamo mai fatto del male, non abbiamo favorito nessuna opera malvagia; non abbiamo mai detto male a nessuno, ma se eravamo maltratti ringraziavamo; per questo motivo noi rispettiamo l’imperatore. Il proconsole li incalza nel sacrificare agli dei, noi facciamo così anche voi dovete fare altrettanto. C’è poi la difesa di Sperato: sono servo di quel Dio che nessun uomo ha mai visto… non ho rubato, se compro qualcosa ne pago la tassa, poiché riconosco il mio Signore, il re dei re e l’imperatore di tutte le genti. Saturino: smettete di aderire a questa fede… continui ad essere cristiano? Sperato: io sono cristiano e con lui furono d’accordo tutti gli altri. Alla fine il proconsole Saturnino recitò la sentenza: poiché hanno perseverato in questa loro convinzione, nonostante fosse stato offerta la possibilità di ritornare a vivere secondo il modo dei romani, è stato deciso che vengano puniti con la spada. Sperato disse: ringraziamo Dio… oggi saremo martiri in cielo: Dio sia ringraziato.
Alla fine del II secolo, circa la situazione dei cristiani nelle campagne Tertulliano scrive: “noi cristiani, siamo di ieri, ma abbiamo già riempito il mondo e tutti i vostri territori: le città, le isole, le fortezze, i municipi, le borgate, gli stessi accampamenti, le tribù, le decurie, la reggia, il senato, il foro, Abbiamo lasciato a voi solo i templi” (Apologetico 37,4). Tertulliano denuncia il fatto che i cristiani vengono condannati per il solo fatto di essere cristiani.
Questo materiale nel tempo e attraverso i secoli diventa fonte per la scrittura di testi apocrifi in cui confluiscono tradizioni orali e leggende sul martire.
È il caso del nostro libretto in cui sono condensate notizie sui martiri: Primiano, Firmiano e Casto.
La Letteratura apocrifa
La letteratura apocrifa nasce in seno al giudaismo e poi si diffonde con il cristianesimo. Gli scritti apocrifi veicolano antiche tradizioni orali che nel tempo sono state messe per iscritto giungendo fino a noi. Queste tradizioni ci fanno riscoprire l’ambiente dei primi secoli del cristianesimo, in alcuni casi, ci danno informazioni anche di secoli precedenti alla nascita di Gesù, così ci aprono la mente all’ambiente precedente e successivo agli avvenimenti dei vangeli.
La cosa interessante dei testi apocrifi è che non sono opera di falsari, ma in essi confluiscono antichissime tradizioni che rispecchiano le diversità dell’ambiente geografico o culturale. I libri apocrifi sono stati in grado di influenzare grandemente la teologia, l’arte, la poesia, la musica, la liturgia, e la cultura popolare con la loro straordinaria ricchezza. Durante il Medioevo questi libri essi influenzarono autorevoli e stimati pensatori sia durante il Medioevo, sia durante l’epoca rinascimentale, compresi Dante e Milton.
La ricerca di Mammarella verte proprio su un testo apocrifo dal quale emergono scintille di verità che nel tempo si sono innestate nella tradizione e nel culto fino ai nostri giorni. In questo scritto ci sono tanti elementi che chiariscono le nostre tradizioni e ci dicono da dove vengono. I nomi dei martiri vengono chiariti Primiano perché è nato prima, Firmiano perché stabile nella fede, Casto perché conserva la castità del suo corpo. Pensiamo ad esempio al detto gente pessima di Larino, la ritroviamo in questo scritto apocrifo, il testo dice: si ritirarono in un altro luogo che viene chiamato Larino dove c’erano uomini molto perfidi e senza pietà alcuna.
Il testo dice e conferma come il cristianesimo e i cristiani erano ormai parte dell’amministrazione imperale c’è questo proconsole di Benevento Annulano che si converte.
Ora questo testo apocrifo fa parte integrante della vicenda storica dei nostri martiri, noi sappiamo poco del loro martirio, forse in giro nascosto c’è uno scritto che descrive la passione di questi fratelli. Una cosa però dovremo essere orgogliosi che questa terra di Larino è stata bagnata dal sangue di 3 testimoni di Cristo, la loro memoria non è venuta mai meno, anche senza reliquie…
Diocleziano
I martiri Primiano, Firmiano e Casto furono uccisi sotto la grande persecuzione di Diocleziano. Essa fu davvero terribile dovuto a tanti fattori non in ultimo l’invidia e superstizione delle classi militari verso i cristiani che facevano parte dei comandi militari accusati di arti diaboliche e cospirazioni.
La persecuzione fu così sanguinosa e cruente che troviamo un resoconto di Eusebio che dice: “Noi vedemmo in un solo giorno molti cristiani parte decapitati in massa, parte bruciati. Il ferro micidiale si ottundeva e diveniva inadoperabile, e i carnefici per la stanchezza dovevano darsi il cambio”.
Sotto Diocleziano la chiesa ricorda molti famosi martiri: Vittore a Milano, Giustina a Padova, Lucia a Siracusa, Fermo e Rustico a Verona, Gennaro a Pozzuoli, Sebastiano, Agnese a Roma, Primiano Firmiano e Casto a Larino. I provvedimenti di Diocleziano contro i cristiani iniziarono dall’esercito, poi un decreto del 303 ordinò di distruggere dalle fondamenta le chiese, poi un secondo decreto ordinò che i capi delle chiese fossero imprigionati e che venissero forzati a sacrificare agli dei, un terzo decreto disponeva anche sotto tortura l’apostasia..
Il culto dei Martiri: le reliquie
Il martire acquista sempre di più nell’immaginario di qualcuno di grande per cui va ricordato e venerato. Pensiamo ad esempio al solenne ringraziamento che il vescovo Vittrizio vescovo di Rouen in Gallia per l’arrivo della reliquie dei martiri spedita da Ambrogio di Milano: grazie ad Ambrogio la chiesa di Rouen gode della presenza di Giovanni Battista, degli apostoli Giovanni, Andrea e Tommaso. (IL martire) Dio lo ha eletto per essere suo testimone: è un privilegiato per cui è oggetto di venerazione da parte dei parenti e della sua famiglia, la chiesa. Nei secoli dopo le persecuzioni, il culto dei martiri crebbe sempre di più. La chiesa li presentava come campioni e eroi della fede. Le chiese che si andavano costruendo sorgevano sui luoghi del martirio. Si cerca nei cimiteri per traslare i corpi santi dei martiri di cui ogni chiesa ne vuole il corpo.
Si crea tanta confusione che nel 386 un editto di imperiale di Teodosio vietava la traslazione dei corpi. Questo servì a poco perché le traslazioni non si fermarono. Così inizia il culto alle reliquie dei martiri, ogni chiesa ne desidera qualcuno.
Conclusioni
Dobbiamo rivalutare i martiri quelli antichi e quelli moderni. Giovanni Paolo II in occasione del grande giubileo del 2000 istituì una commissione Nuovi martiri per raccogliere la documentazione relativa ai nuovi martiri del novecento.. Quella commissione raccolse in pochi mesi più di 13mila schede di martiri di tutto il mondo.
Il martire con la sua testimonianza non difende o offende, è una testimonianza di amore, è proposta di dono e di amore. Noi veneriamo i martiri, proponiamo il loro culto non per fare proseliti ma per diffondere quella cultura di amore e di dono oggi tanto necessaria e mancante. Il novecento è stato il secolo dei martiri pensiamo allo sterminio degli armeni e degli altri cristiani dell’impero ottomano, o la persecuzione dei cristiani in Unione Sovietica negli anni 20-30. Giovanni Paolo II scelse la chiesa di san Bartolomeo all’isola tiberina come santuario per custodire e diffondere la memoria dei nuovi martiri. Nel corso degli anni si è visto che le cause del martirio non sono solo quelle classiche in odium fidei ma anche in odio alle virtù cristiane (alla fede vissuta). Questo criterio ha permesso alla chiesa di proclamare nuovi martiri cristiani uccisi perché proteggevano famiglie di ebrei dai persecutori nazisti (pensiamo ai coniugi Ulma uccisi assieme ai loro 7 figli proclamati beati il 10 settembre scorso: Pur consapevoli del rischio e nonostante le ristrettezze economiche, gli Ulma nascosero i Goldmann per un anno e mezzo. Il 24 marzo 1944 si presentarono dei gendarmi che perquisirono l’abitazione. Scoperti i Goldmann, i poliziotti trucidarono le due famiglie. o pesiamo ai cristiani che strappavano i giovani di Palermo dalla rete mafiosa (don Puglisi) oppure i cristiani che difendevano gli indios in Guatemala dalla violenze del regime militare. Oggi la chiesa è diffusa in tutto il mondo con un 1miliardo e 375 milioni di battezzati.
Le persecuzioni oggi dei cristiani sono cambiate, ci sono organizzazioni terroristiche, stati nazionali che sono contro i cristiani. Papa Francesco è stato pellegrino nella chiesa di san Bartolomeo per venerare le reliquie degli oltre 200 martiri del nostro secolo. In quell’occasione ha affermato: L’eredità viva dei martiri dona oggi a noi pace e unità. Essi ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra e si può realizzare con pazienza la pace.
I martiri larinesi costituiscono la memoria viva di questa città, il loro martirio diventa testimonianza di dono e di amore che va oltre tutte le forme di culto e di devozione.
Se Enea scappando da Troia in fiamme porta con se il l’anziano padre Anchise, salva anche le cose più care della casa: i Penati (gli dei) la memoria viva della loro antica religione. Anche noi abbiamo l’obbligo di salvare la memoria viva della nostra tradizione il culto dei martiri Primiano, Firmiano e Casto, sta a noi ri-dire e ri-consegnare il messaggio di questi tre fratelli che con la loro passione hanno fatta questa terra, come dice il poeta Foscolo, bella e santa”.