LARINO. Tra le disposizioni impartite da monsignor Oddo Bernacchia, il primo dei tre vescovi che le diocesi di Larino e di Termoli ebbero in comune prima della piena unione stabilita con decreto della competente Congregazione vaticana del 30 settembre 1986, figura quella di proibire anche una semplice fermata delle “statue durante le processioni, specialmente nel tempo degli stari”.
Prima di trattare l’argomento, ritengo opportuno sottolineare che monsignor Bernacchia fu una figura molto rilevante nella realtà ecclesiastica molisana del Novecento. Ad una notevole cultura, nonché ad una capacità non comune nell’esercizio delle funzioni episcopali unanimemente riconosciute a questo Pastore, si devono aggiungere i riflessi di un temperamento non solo troppo rigoroso, ma incline talvolta a privilegiare, nei disegni e nelle decisioni operative, soluzioni dettate più da diversificate preferenze che da matura ed equilibrata considerazione sugli uomini e sulle situazioni.
Eletto Vescovo di Larino il 24 giugno 1924 e, consacrato a Fano sua città natia, il 5 ottobre seguente, il 28 dello stesso mese ebbe unita “ad personam” la sede di Termoli. Fece il suo ingresso a Larino il 19 marzo 1925 ed a Termoli l’8 dicembre successivo. Concluse la sua attività pastorale nella diocesi di Larino il 10 novembre 1960 ed in quella di Termoli il 19 marzo 1962. Morì ad Acquaviva di Nerola, presso Roma, il 13 novembre 1964.
Alcune sue decisioni, tra cui quella di evitare l’accensione di fuochi pirotecnici durante le processioni o perlomeno di praticare una sosta o fermata del corteo nel “nel tempo degli spari”, nonostante la ferma intenzione mostrata in più occasioni, non furono mai accettate dai fedeli. Per la soluzione di quest’ultimo problema, dopo vari tentativi andati a vuoto, monsignor Bernacchia non esitò a rivolgersi alla Prefettura ed alla Questura.
Una prima nota (senza data) inviata in Prefettura recita testualmente: “Mi pregio avvisare codesta R. Prefettura che per una disposizione dell’Autorità Ecclesiastica nelle Diocesi di Larino e di Termoli, le processioni non potranno sostare e fermarsi allo sparo. Altre Prefetture hanno dato ordini per l’esatta osservanza di dette disposizioni. […] se accadranno incidenti, declino fin d’ora per me e per i miei sacerdoti, che dovranno obbedire al loro Vescovo, ogni responsabilità”.
Nell’approssimarsi del tempo delle festività religiose “a carattere clamoroso” del 1935, monsignor Bernacchia ritenne di interessare direttamente anche il Questore. In considerazione dei “disordini alimentati dai soliti sfruttatori dell’ignoranza del popolo – evidenziò il Presule in quell’occasione – quest’anno ho dato ordine ai sacerdoti di ritirarsi senz’altro dalla processione, se si insiste nella fermata agli spari”. A conclusione della missiva così si espresse: “Per non mettere il clero in una condizione odiosa e l’Autorità Ecclesiastica nella necessità di dare poi sanzioni canoniche dispiacevoli, prego codesta R. Questura a non concedere il permesso degli spari durante le processioni. Possono fare un fuoco più ricco la sera, ma non c’è bisogno di batterie durante le processioni che hanno un carattere di preghiera e di raccoglimento […]”. La pronta risposta, del Prefetto e non del Questore, datata 26 marzo 1935, è del tenore che segue: “Sono a conoscenza della lettera […] inviata da V. E. al Questore e mi compenetro del desiderio espresso che le cerimonie religiose si svolgano conformemente alle prescrizioni liturgiche della Chiesa. Come è, però, ben noto alla E. V., l’accensione di spari durante le processioni religiose per vecchia tradizione popolare è stata in questa Provincia sempre tollerata specie dai fedeli che, nella loro semplicità, considerano come un atto di devozione e di omaggio verso il Santo che si festeggia e non ritengono affatto contrastante con la natura della cerimonia di pietà religiosa. Mentre informo che il rilascio delle licenze per sparo di batterie e simili artifici nei vari comuni è, per legge, di competenza dei Podestà e non del Questore, prego V. E. di voler esaminare la opportunità di non esporre il clero alla odiosità degli stessi fedeli, che certamente mal vedrebbero che si interrompesse una tradizione popolare, tollerata pel passato anche dalle stesse autorità ecclesiastiche e che tuttora non la ostacolano nei comuni […] delle altre Diocesi”.
L’invito rivoltogli dal Prefetto non fu gradito. A conclusione della corrispondenza sull’argomento monsignor Bernacchia così si espresse: “Facciano pure gli spari. Prevengo però V. E. che le processioni non potranno fermarsi e il clero dovrà ritirarsi senz’altro, se si vorrà che il corteo si fermi durante lo sparo”.
Rammento che la frequente mancata osservanza di tali disposizioni fu causa di incidenti in vari centri. Tra i più clamorosi figurano quelli verificatisi a Larino durante la processione di Sant’Antonio del 13 giugno 1935. Monsignor Bernacchia, quel giorno presente nell’episcopio dell’antico capoluogo frentano, rinnovò l’invito al clero di non fermarsi. Nel corteo processionale, tra la croce astile ed il simulacro, erano presenti i componenti del Capitolo cattedrale con i seminaristi. Raggiunto il luogo dove solitamente si effettuava una sosta corposa per i fuochi artificiali, clero e chierici, poi inseguiti da alcuni facinorosi, proseguirono speditamente arrivando, per fortuna incolumi, in cattedrale che fu subito chiusa insieme alla vicina chiesa di San Francesco. La statua di Sant’Antonio, deposta temporaneamente sul sagrato di quest’ultimo sacro edificio, solo dopo alcune ore riuscì a rientrare nella sua abituale dimora.
Il presule nonostante l’inserimento di un apposito articolo nel capitolo VI del suo Sinodo celebrato nelle due diocesi basso-molisane nell’ottobre del 1940 allo scopo di provocare “un risveglio di fervida vita cristiana e frutti di iniziative”, non riuscì ad interrompere una pratica ancora oggi fortemente radicata. A tal proposito, mi sia consentito far notare che in passato l’accensione dei fuochi artificiali durante i cortei processionali rappresentava esclusivamente un segno di devozione.
Giuseppe Mammarella