TERMOLI. Di San Basso, Patrono principale di Termoli e, insieme a San Pardo, con pari dignità, anche della diocesi basso-molisana di Termoli-Larino, non solo si hanno notizie scarsissime, ma anche non sufficientemente chiare.
Gli unici elementi finora a nostra disposizione, sono costituiti dalle quattro iscrizioni ritrovate nel momento in cui i sacri resti tornarono alla luce nella cattedrale di Termoli, tra il 31 dicembre 1760 ed il 1° gennaio 1761. Da esse, oltre al nudo nome, emergono con chiarezza solo due dati e cioè che il Patrono di Termoli era un Vescovo ed un Martire.
Quindi, “a salvare la figura storica di questo ignoto personaggio nell’ambito dell’autentica documentazione, pervenuta fino ad oggi, in modo tanto lieve, il puro essenziale della sua avventura umana traspare” soltanto dalle epigrafi appena citate, che risalgono, forse, ad un’epoca che ruota intorno all’anno Mille (S. Moffa, “Termoli e il suo Patrono San Basso”, in “Almanacco del Molise 1988”, vol. II, Campobasso 1988, p. 99).
A questi dati vanno ad aggiungersi altri emersi, nel 2001, dagli esami compiuti in seguito alla ricognizione dei resti mortali del San Basso venerato nella città adriatica che, se da una parte offrono preziose informazioni, dall’altra pongono un altro interrogativo: come mai non sono emerse tracce evidenti legate al martirio?
Sul finire dell’anno 2000 ed i primi mesi di quello successivo, l’allora Vescovo mons. Tommaso Valentinetti dispose la ricognizione dei resti mortali del Santo, affidando l’incarico al Prof. Luigi Capasso, Antropologo dell’Università di Chieti, già noto per altri interventi simili. Così, furono eseguiti i delicati interventi di restauro e conservazione uniti ad un approfondito studio antropologico che produsse risultati molto interessanti. Quest’ultimo consentì di stabilire, tra altro, trattarsi “di una persona di statura antropologicamente definibile ‘alta’ (cm 179,64), ma al limite della statura ‘altissima’; […] un soggetto particolarmente robusto, dotato di apparato muscolo-scheletrico poderoso […]. La morfologia del cranio (per quanto frammentario) e quella del bacino indicano indubbiamente un sesso scheletrico maschile”. Altri specifici studi “indicano univocamente che S. Basso venne a morte ad una età compresa fra i 40 ed i 45 anni circa”. Differenti dati denotano che il personaggio a cui appartengono le spoglie mortali in questione era affetto, tra l’altro, da “artrosi della colonna cervicale” ed era interessato da altre malattie, espressamente citate, tra cui “l’ossificazione (forse post-traumatica) della membrana interossea tibio-peroneale destra” e “la periostite bilaterale della fibula conseguente ad una prolungata stazione eretta abituale nel quadro di una stasi venosa degli arti inferiori”.
Il Prof. Capasso ritenne di puntualizzare, in quell’occasione, che studi successivi potrebbero individuare la “località geografica nella quale avvenne l’inumazione primaria […]” e conclude la sua dettagliata relazione con questi termini: “La data calibrata ottenuta sulla base […] (delle) complesse stime copre un intervallo di probabilità esteso e discontinuo perché interrotto in due monconi. Infatti, il reperto potrebbe avere una antichità compresa fra 260 e 290 d. C. e fra 320 e 450 d. C.. Ciononostante la massima probabilità, secondo questa conta, si situa nell’intervallo compreso fra il 370 ed il 425 d. C. circa” (L. Capasso, “Studio antropologico dei resti ossei di San Basso”, in AA. VV., “San Basso Patrono di Termoli. Ricognizione, Analisi, Studio e Restauro delle Reliquie”, Termoli 2002, pp. 64-70).
Prima di andare oltre, è doveroso unire agli elementi descritti altre due antiche testimonianze riguardanti il Santo. Si tratta della statua in pietra scolpita sul portale della cattedrale termolese, la cui costruzione, nella forma presente, è da fissare tra il XII ed il XIII secolo, e la scultura lignea quattrocentesca, entrambe raffiguranti San Basso con le insegne episcopali.
È opportuno rammentare che il sacro deposito, quando giunse a Termoli, fu occultato in un luogo sotterraneo della cattedrale per preservarlo da eventuali furti, allora abbastanza frequenti, proprio come avvenne successivamente, dopo il 1239, anche per i preziosi avanzi di San Timoteo nascosti nella parte opposta.
Allo scopo di sistemare il nuovo altare maggiore del tempio, il Vescovo mons. Tomaso Giannelli pensò di far abbassare, il 31 dicembre del 1760, il piano del presbiterio, attraverso la demolizione della volta della cosiddetta “grotticella di San Basso” e di quella adiacente visibile soltanto attraverso una finestrella dove furono rinvenute le prime due lapidi di marmo bianco. Il giorno seguente, 1° gennaio 1761, si eliminò il piano del camerino in cui erano poste le prime due epigrafi e subito si notò, nell’ambiente sottostante, un’urna anch’essa di marmo bianco, motivo per cui i lavori proseguirono al fine di riportare in superficie quel pesante contenitore, con una terza iscrizione incisa sulla parte superiore, che custodiva i resti mortali di San Basso ed ancora un epitaffio, questa volta consistente in una tavoletta di creta.
Quasi tutti coloro che si sono interessati del Santo fino agli anni Settanta del secolo scorso, ritengono che il Patrono di Termoli sia stato il Vescovo di Nizza martirizzato nel 250 circa, così come voleva la tradizione popolare. Questa memoria, con ogni probabilità, nasce da una notizia riportata al 5 dicembre, dal ‘Martirologio romano’, redatto negli anni Ottanta del XVI secolo. Noti studiosi recenti, però, assecondati dalla revisione critica dell’agiografia di questi ultimi decenni, ritengono di non poter accettare l’attribuzione a San Basso dell’episcopato di Nizza. A complicare non poco, questa delicata questione, s’inserisce prepotentemente anche la vicenda della cittadina marchigiana di Cupra Marittima, che si onora di avere tra le proprie mura il corpo di un San Basso, anch’esso ritenuto, da quegli abitanti, Vescovo e Martire di Nizza. A tal proposito, c’è da tener presente che in diversi centri del litorale adriatico, un Santo con tale nome gode di un culto particolare.
Anche a Lucera è venerato un San Basso. Fonti locali, ritenendolo fondatore della diocesi lucerina addirittura nel I secolo, credono che il suo corpo sia stato trasportato, intorno alla metà del IX secolo a Termoli, con le medesime modalità con cui furono portate a Larino le spoglie mortali di San Pardo. Eminenti Storici contemporanei che si sono occupati della materia, però, escludono la presenza di un Vescovo di nome Basso, come quella di Pardo ed altri, dalla lista episcopale della città dauna le cui prime notizie certe riguardanti la sede vescovile, risalgono alla fine del V secolo, anche se, con ogni probabilità, il messaggio evangelico vi giunse molto tempo prima.
L’attribuzione a Lucera di un Vescovo di nome Pardo, nasce certamente, dall’esplicita asserzione di uno dei due autori medioevali (potrebbe trattarsi della stessa persona) della vita del Patrono di Larino. Egli scrive che Pardo, reduce dal Peloponneso, si recò a Roma dove fu accolto dal Papa San Cornelio, l’unico così chiamato che governò la Chiesa universale dal 251 al 253, e questo Pontefice lo autorizzò a recarsi, in forma privata, a Lucera. Infatti, la tradizione lucerina vuole il Vescovo Pardo a capo della comunità cristiana di Lucera proprio intorno all’anno 250. Per quanto riguarda Basso, posto in cima alla cronotassi vescovile della città dauna, è da ritenere che ciò sia avvenuto solo per nobilitare maggiormente l’origine della diocesi pugliese, facendola risalire persino all’epoca di San Pietro. Il convincimento della presenza di un Vescovo Basso a Lucera, scaturisce, a quanto sembra, da due epigrafi in cui si riscontrerebbe che nella città dauna era domiciliata la famiglia dei Bassi iscritta alla stirpe Claudia.
Il presunto Vescovo Basso di Lucera, sarebbe stato martirizzato nell’anno 112, sepolto nella città dauna e da qui trafugato dai termolesi, per rivalsa contro i lesinesi ed i lucerini che avevano asportato da Larino, subito dopo l’anno 840, i resti mortali dei due Martiri Larinesi Primiano e Firmiano e con le stesse modalità con cui i larinesi si impadronirono a Lucera del corpo di San Pardo.
Giuseppe Mammarella