LARINO. Riceviamo e pubblichiamo la nota del responsabile dell’Archivio storico diocesano Giuseppe Mammarella relativa ad una settimana Santa, particolarmente ‘agitata’, quella del 1946.
“A seguito di non pochi disordini che si verificavano da tempo nelle diocesi di Larino e di Termoli (distinte fino al 1986) durante la notte tra il Giovedì ed il Venerdì Santo, il Vescovo mons. Oddo Bernacchia, con un proprio decreto emesso il 12 marzo 1931, dispose la chiusura delle chiese non oltre le ore 23 del Giovedì Santo e la riapertura la mattina successiva non prima delle ore 5.
Il Presule, con tale provvedimento, intendeva evitare ai fedeli qualsiasi distrazione ed esortarli “all’Adorazione del SS.mo Sacramento” esposto presso il cosiddetto “Altare della Reposizione” dove, ancora oggi, viene riposta e custodita l’Eucaristica (in una pisside) al termine del rito liturgico vespertino “in Coena Domini” del Giovedì Santo e vi rimane fino alla rievocazione della Passione officiata nel pomeriggio del giorno seguente, il Venerdì Santo.
Mi sia consentito rammentare che con l’introduzione nella liturgia di alcuni segni di tristezza come la spogliazione degli altari e la sospensione del suono delle campane e dell’organo, il contenitore della reposizione (urna), anche per la sua forma particolare, fu considerato il sepolcro di Cristo, sebbene la Chiesa non ne avesse ancora ricordata la morte. Per questo motivo gli altari della reposizione vengono comunemente ed impropriamente appellati “Sepolcri”.
Mons. Bernacchia non mancò, per l’occasione, di rammentare che il Giovedì Santo, “giorno più bello e più caro al cuore di un cristiano”, poteva rappresentare una circostanza favorevole per accrescere la fede attraverso il “religioso raccoglimento”.
L’invito, però, in qualche centro specialmente della diocesi di Termoli, non fu accolto se si considera che, a distanza di ben tre lustri, le intemperanze continuavano. Lo stesso mons. Bernacchia, il 23 aprile 1946, “avendo constatato che nel Giovedì Santo, dopo la predica della Passione […] si è voluto fare una processione in aperta violazione delle leggi ecclesiastiche” ed alle particolari disposizioni da lui ripetutamente impartite, “a correzione di chi tanto ha osato, ad ammonimento dei fedeli ed a riparazione delle colpe commesse”, decretò quanto segue:
“1°. La statua portata in processione resti interdetta sotto qualunque titolo si presenti. Non potrà quindi essere esposta in chiesa né servire a scopo di culto.
2°. Incorrano nella scomunica a Noi riservata tutti quelli che hanno cooperato direttamente per far fare la processione e tutti quelli che hanno portato la statua.
3°. La chiesa del Rosario, da dove la statua fu prelevata resti interdetta per quindici giorni.
Queste disposizioni siano pubblicate ‘ad valvas ecclesiae’ (affissi sui portali dei luoghi di culto n. d. a.) nella chiesa madre, nella chiesa del Rosario e nella chiesa di S. Antonio. I rettori […] ne cureranno la pubblicazione”.
Con ogni probabilità si tratta di Guglionesi anche se questo centro non è espressamente citato nel drastico provvedimento”.