SAN GIULIANO DI PUGLIA. Sono tornato questa mattina a San Giuliano di Puglia. L’ho fatto come lo faccio da sempre prima ancora di diventare un giornalista. Anche se poi proprio dai giorni successivi al crollo della Jovine iniziai a scrivere e a collaborare, insieme all’amico di una vita Stefano Ricci, al Quotidiano del Molise.
Sono tornato a San Giuliano per portare il mio saluto agli angeli, ma anche ai loro genitori, molti dei quali in questi quattro lustri sono diventati miei amici, persone con le quali ho condiviso tante altre esperienze. Sono tornato, ma in fondo è come se ci fossi sempre stato perché chi ha poi raccontato il seguito di quel crollo, chi ha scritto pagine e pagine di cronaca, non potrà mai dimenticare anzi ha il dovere morale che anche altri ricordino quanto accadde in questo lembo di Molise quella mattina di venti anni fa.
E mentre i rintocchi delle campane mandavano al cielo i nomi dei 27 bambini e della loro maestra, mentre riprendevo in diretta questo momento di silenzio e preghiera sono tornato a quella mattina.
Quella mattina di venti anni fa mi trovavo in un campo incolto a raccogliere pietre. Intorno a me, il compagno di avventura Stefano, un solitario giunto a Larino da chissà dove. Intorno a noi faceva caldo, il sudore della fatica colava dalle nostre fronti mentre i nostri muscoli entravano in trazione e poi si distendevano per raccogliere quelle pietre che i secoli avevano lasciato sotto le zolle.
Ad un tratto, le 11.32. Ho visto Stefano, più grande di me di una ventina d’anni, barcollare e subito dopo un polverone alzarsi dal vallone sottostante dove una vecchia masseria era venuta giù nel brevissimo giro della lancetta dei secondi. Qualcosa era accaduto, qualcosa di tragico perchè in pochissimi minuti quella provinciale che da Larino avrebbe collegato i centri del cratere (all’epoca non ancora era stata completata) si riempì di mezzi di soccorso, di ambulanze. Decine e decine di mezzi si stavano dirigendo verso che cosa? Verso quale paese?
Tutte le linee telefoniche erano interrotte. A casa, avevo mamma che non stava bene. Aveva da qualche giorno fatto un nuovo ciclo di chemioterapia. Ero in ansia per lei e risalito il crinale mi ero messo in macchina per raggiungerla. C’era stato un terremoto. Trovai mia mamma nella mia cameretta, ferma ad aspettare il mio arrivo. Aveva capito che qualcosa di serio era accaduto. All’epoca ero soltanto un giovane praticante avvocato che aveva perso suo padre da qualche mese ed aveva una mamma che stava combattendo un’ennesima battaglia contro un orco cattivo. Ricordo di essere riuscito a contattare mio fratello, prima di accendere la televisione ed apprendere che quelle macchine di soccorso si stavano recando tutte a San Giuliano di Puglia dove, le notizie erano ancora frammentarie, era venuta giù la scuola elementare e molti bambini insieme alle loro maestre erano rimasti sotto le macerie.
Al’epoca non ero ancora un giornalista, (lo sono diventato il 12 novembre, poche settimane dopo) ma dopo aver messo al sicuro mia madre, ricordo che insieme a don Gianfranco Mastroberardino riusci a recarmi a San Giuliano di Puglia. Sentivo forte dentro di me il desiderio di mettermi a disposizione in qualche modo, di fare qualcosa che potesse essere di aiuto mentre il don dal canto suo portava il conforto della fede in quel paese dove altri martiri, dopo Giuliano, sarebbero stati onorati per sempre.
Percorsi, la sera del 1 novembre, strade fino ad allora mai utilizzate. Intorno a noi i segni evidenti della potenza del sisma. Case squarciate, croci di cedimenti ed ancora decine e decine di mezzi di soccorso, gru, ambulanze che andavano e venivano. Lasciammo la macchina distante e, a piedi, ci recammo al Palazzetto, lì dove si concentrava il dolore delle mamme, dei papà, dei nonni intorno a quei corpicini senza vita che sarebbero stati poi adagiati in quelle 26 bare bianche ed una marrone, quella della maestra. 26, perché l’ultimo bambino, Umberto Visconti, dopo 32 giorni di agonia e speranza, sarebbe morto il 2 dicembre al Bambino Gesù di Roma.
Ed oggi sono passati venti anni da quel tragico 31 Ottobre 2002. 7300 giorni da quella scossa tremenda che squarciò per sempre il velo della tranquilla quotidianità del piccolo centro fortorino, seppellì sotto le gravi responsabilità degli uomini che avevano sopraelevato quella scuola, le giovani vite di 27 bambini e della loro maestra Carmela Ciniglio. Sono passati venti anni.
Le campane della gioia dopo quelle del ricordo delle giovani vittime mi hanno riportato al presente, al mio presente di giornalista che deve fare memoria e raccontare la verità di una tragedia italiana che non deve e non potrà mai essere dimenticata.
Nicola De Francesco