SANTA CROCE DI MAGLIANO. Tanti carri, carretti e carrettini tutti in fila. Con i colori variopinti delle famiglie, trainati da una coppia di buoi con sulle corna candidi drappi, che richiamano le usanze del Sannio Frentano. Tutti pendenti, sotto un sole luminosissimo, ai lati delle narici fumanti degli animali. Stendardi devozionali coloratissimi, dove c’è il cuore delle famiglie, annunciano, appena dopo il murales della Madonna dell’Adesso, l’arrivo della gloriosa statua del Santo Patrono.
Con orgoglio si distingue quello più alto della famiglia Gianfelice. Suona la banda. C’è letizia. Si affaccia dall’arcata campanaria la voce degli angeli. Suona a distesa il campanone su tutto l’abitato. Le sensazioni sono intense. L’atmosfera è sublime. C’è uno stato di compiacimento incontenibile. Grida silente tra lacrime invisibili. Sui balconi, sui davanzali sono pronti i petali per il Santo che passa. Si prega. E’ deciso il sussurro delle preghiere. La voglia di far festa si manifesta così dopo due anni di pandemia.
In questo tripudio di colori non mancano i gigli, il grano e il pane benedetto. E poi i prodotti caseari appesi come trofei. Anch’essi dondolano in alto come doni. In segno di rispetto delle proprie radici. Tra un vicolo e l’altro pieno di gente è felice l’orgoglio della realtà rurale santacrocese. Stranamente si spinge fino al fronte, adesso tutto giallo, della Capitanata. C’è tanta gente nel cuore del Quarto dei Latini, nei pressi della Chiesa di San Giacomo fino al Casale. Questa scena magnifica, di gioia e di pensieri che si abbracciano, tra terra e cielo cristallino, non si spegne mai. Nemmeno sotto i forti colpi degli spari e le capriole di nuvole e di fumo che rotolano in superficie per crescere più dense verso l’alto. Cammina il lungo corteo dei carri. Si ferma. Riparte dopo gli spari. Nell’attesa si osservano i gruppi degli accompagnatori, il loro sudore, i giovani, i carri, i buoi e i fiori. E’ uno spettacolo in posa. A tutto campo. Pronto ad essere fotografato dai cellulari. Su ogni carro, in tutto il suo candore, trionfa la statua del Bambinello con un bel vestito ricamato. E’ una immagine tenera, delicata, legata al Santo che ama il popolo e i più piccoli. Protetta da un ombrellino bianco nella parte più alta della facciata del carro. I fumi dei mortaretti, degli scoppi, i botti rettilinei guizzano zigzagando. Si rincorrono all’impazzata. Decretano la pausa. Si spara una pioggia di coriandoli al passaggio del Santo. Di colpo nel vicolo riecheggia a squarciagola il pianto di un bambino tra le braccia della madre.
Ai piedi di Torre Piscone i palloncini sono più delicati. Ondeggiano. Improvvisamente volano per le strade del cielo. Fino a scomparire per sempre. Come per godersi lo spettacolo da un punto privilegiato. Lontano. Dall’alto. Per vedere l’immagine inedita di un paese tutto in piazza. Il percorso ovunque è festoso. Si acclama in silenzio. Trionfano sui carri di famiglia i Bambinelli sorridenti. Sono allineati in una posizione ideale. Con chiarezza risplendono i particolari. Per un momento si amplifica l’arcobaleno emozioni, di cui senz’altro ha bisogno l’uomo contemporaneo. Come tanti angioletti, i Bambinelli sono pronti ad annunciare la scena finale, che mette al centro l’artistica statua di Sant’Antonio di Padova. In questo viavai di immagini, il Protettore emerge da una nuvola di gigli profumati. Troneggia tra fiori e coriandoli colorati. Ha un viso giovanile, gentile, con tanta voglia di vivere. La stola dorata è piena di collane, anelli e gioielli d’oro.
Testimoni di fede e di gioia. E talvolta di tristezze dovute a un destino avverso. Il Bambinello si deve allo scultore Antonio Giordano. Ricalca lo stesso linguaggio espressivo di quello ligneo ormai scomparso. Ben più antico, rubato tanti anni fa. E’ una figura umile a braccia aperte. Schietta nella sua espressione. La sua simpatia fa tenerezza. Proviene dalla terra. Tiene in mano un mazzo di spighe di grano. Frutto del lavoro faticoso nei campi. Simbolo di ricchezza, di pace e di abbondanza. Un portafortuna squisitamente rurale. La statua di Sant’Antonio viene portata a spalla dalla Confraternita. La numerosa schiera dei confratelli si veste a festa con saio bianco e mantellina celeste. Qui la tradizione vive la sua stagione migliore. E’ corale la partecipazione dell’intera popolazione. Colpisce il tono della venerazione in ogni appuntamento della “Tredicina”. Dalla benedizione, al Canto dei Gigli, fino al momento conclusivo. Desta curiosità ogni carro nei suoi toni espressivi. Si privilegiano addobbi bianchi, gialli, azzurri, verdi e viola, mescolati a elementi floreali o a piante spontanee come i “Capelli degli Angeli”. Non mancano fiori, fiocchi e abitini, coperte, stoffe e drappi oscillanti aggiuntivi. Gli abiti francescani di color marrone e i cordoncini bianchi con nodi vengono ostentati durante la lunga processione. A Santa Croce l’abito francescano per devozione viene indossato da grandi e piccini.
Diversi devoti indossano una versione alla moda. Colpisce in questo caso la fede delle famiglie. E soprattutto quella inattesa di tantissimi giovani e bambini. Il loro sentire appare profondo. Nei carri batte forte il cuore dei cantori e dei suonatori. Si canta la “Carregna”. Riecheggia senza sosta il tema oscuro del testo. Si tratta di un canto lamentoso accompagnato dalla fisarmonica. La narrazione è ripetitiva. Talvolta lancia echi sonori struggenti. Scuote l’ascoltatore. Nel buio della morte si chiede aiuto al Santo per discolpare un padre da un’azione criminale. E’ questo forse il tema del canovaccio vocale.
Si celebra così il tempo della fede. E’ un momento emozionante che fa vibrare i luoghi del cuore. Un aspetto cultuale senz’altro originale, affidato al linguaggio della creatività individuale. Presso la Famiglia Cosco, la Carregna, accompagnata dalla fisarmonica di Antonio Martino, è intonata da Donato Arcano. E’ festa grande. Il gruppo degli invitati è numerosissimo. Dentro e fuori occupa gli spazi. Ci sono le autorità regionali, gli amanti della fotografìa, delle tradizioni popolari e svariati studiosi di antropologìa culturale. E’ qui che abbiamo seguito il rito della vestizione del carro di famiglia. Sul carro e sugli animali trionfano drappi, stoffe e veli bianchi ricamati ad arte. Le grosse mucche fanno sentire i campanacci appesi al collo. E’ una scena d’altri tempi. Tutta al femminile. Le mucche vengono trattate con delicatezza. Come spose. Il tema del carro è questo. La sposa, l’unione, il matrimonio, la famiglia. Vengono ricoperte da un manto di velo leggerissimo. Tutti i partecipanti indossano camicie bianche. E’ una scena esaltante. Svela desideri nascosti. I sentieri del simbolismo sono di buon auspicio. Si pensa all’unione della famiglia. Alla sua forza e alla sua importanza nella vita di Santa Croce di Magliano. Con questo rituale si guarda ad un futuro sereno e più tranquillo. Il culto del Santo abita, dunque, in una dimensione spirituale capace di coinvolgere tutti quanti. Rilancia senz’altro un quadro di valori sempre attuali. Che mai devono crollare. Grazie a Sant’Antonio continua a vivere un prezioso giacimento di cultura immateriale. Semplice. Spontaneo. La sua voce è piena di principi umani che fanno bene al vivere sociale. Ogni carro, nella sua vivacità cultuale è un’azione da imitare. Incarna in definitiva un cammino felice. Da seguire. In difesa della pace, della famiglia e della realtà locale. Per il bene della comunità.
Luigi Pizzuto