LARINO. Tutti ricordano il maggio di due anni fa. In piena pandemia, l’audacia del vescovo De Luca, di don Claudio e don Antonio permise al simulacro di San Pardo di uscire fuori dalla concattedrale dove ad attenderlo, distanziati e mascherati, decine di carrieri si erano ritrovati con i campanacci a mandare al cielo le note della loro devozione per il santo vescovo. E poi ancora lo scorso anno, meno restrizioni di due anni prima, ma comunque carri fermi, animali nelle stalle, suoni ed emozioni ancora una volta ‘cancellate’.
Suoni, emozioni, il popolo in festa insieme ai colori dei meravigliosi fiori, quest’anno finalmente sono tornati protagonisti di una delle più belle manifestazioni di fede e folklore della nostra Penisola. Protagonisti di una tre giorni di festa che è sempre difficile raccontare con le parole e le immagini. Troppo riduttive le prime, non esaurienti le seconde. San Pardo, e lo scrive un larinese, per capirlo veramente bisogna soltanto viverlo.
E’ prima di tutto testimonianza di un legame con la storia stessa della città. La storia che lega Larino, i larinesi tutti a quelle sacre reliquie che da 1180 anni sono diventate il fulcro stesso della sua quotidiana esistenza. San Pardo è folklore perché quel carro che trasportò i resti del vescovo del Peloponneso è diventato emblema di una tradizione che, è vero dura tre giorni (diventati quattro negli ultimi 20 anni), ma che ti impegna tutto l’anno. Sì, perché quel carro, i carri sono, tutti ed ognuno singolarmente, delle opere d’arte dove gli artisti che li realizzano sono le nonne, le zie in alcuni casi anche dei ragazzi che per mesi si mettono all’opera per abbellirli con i meravigliosi fiori di carta crespa, con i nastri e le coperte più belle.
San Pardo è comunione. o meglio comunanza di intenti, di gesti, di rituali che si tramandano di generazione in generazione, sempre uguali ma sempre proiettati al futuro e mai fermi al passato. C’è il nonno, insieme all’ultimo nipote nato. Ci sono intere famiglie che si ritrovano per condividere la gioia della festa. Ci sono i turisti, gli amici dei larinesi sparsi in ogni dove che vengono a Larino e si sentono a casa loro anche se parlano le lingue più disparate. Quella comunione, quella comunanza azzera le distanze e tutti si ritrovano a cantare l’inno che inonda di emozioni i cuori. E ci sono anche loro, i larinesi lontani, oggi più che mai grazie alle moderne connessioni. E ci sono anche loro, i larinesi che vivono già la gloria del Cielo. Non manca nessuno.
San Pardo è fede. La fede che non vuole vedere per forza, ma che ti fa credere. Una fede che ha sfaccettature diverse che porta nei luoghi sacri donne, uomini e bambini a cui non interessa chi era San Pardo, se sia o meno esistito, se sia stato o meno un vescovo. San Pardo è per ogni larinese principio e fine di una vita. Ed è bello vedere quest’anno come anche un uomo di Dio venuto da Marino a Larino si sia letteralmente immerso nella magia della festa. Abbia scandito, per la prima volta da quando è parroco della concattedrale, tutti i ritmi della liturgia e dell’andare lento in processione. Si è immerso nelle emozioni e le ha vissute chiedendo aiuto ai larinesi che siamo certi l’hanno amorevolmente assistito.
La tre giorni volge al termine. Con la processione del 27 maggio, tutto è compiuto. I carri e gli animali insieme ai carrieri, dopo l’ennesimo omaggio al santo vescovo già sono tornati nelle stalle e nei garage. Qualcuno ancora lo farà domani mattina. Ma tutto è stato fatto. San Pardo è tornato dopo aver riaccompagnato il martire Primiano al cimitero nel suo ‘trono’. Ognuno porta con se le immagini e le emozioni della festa. Come si diceva, davvero difficili da racchiudere nel breve testo di un articolo. L’unica cosa che sappiamo è che quelle emozioni, i pianti insieme alle risate accompagneranno tutti fino al prossimo anno con l’aiuto del buon Dio e con l’intercessione di San Pardo che da Lassù siamo certi non dimentica nessuno.
Nicola De Francesco
(Nel testo alcune delle immagini che abbiamo scattato in questi giorni)