LARINO. Nel nuovo articolo dell’artista larinese Adolfo Stinziani conosciamo da vicino un altro storico palazzo della città frentana, partendo questa volta da una poesia del Vate.
Canta la gioia!
Io voglio cingerti di tutti i fiori perché sei tu
che celebri la gioia la gioia la gioia,
questa magnifica donatrice!
Canta l’immensa gioia di vivere, d’esser forte,
d’esser giovine, di mordere i frutti terrestri
con saldi e bianchi denti voraci, di por le mani audaci
e cupide su ogni cosa tangibile, di tender l’arco
su ogni preda novella che il desìo miri,
e di ascoltare tutte le musiche,
e di guardare con occhi fiammei il volto divino del mondo
come l’amante guarda l’amata,
e di adorare ogni fuggevole forma, ogni suo segno vago,
ogni immagine vanente, ogni grazia caduca,
ogni apparenza nell’ora breve.
Canta la gioia!
Lungi da l’anima il nostro dolore, veste cinerea.
Come incipit di questo mio nuovo articolo sul patrimonio storico-artistico larinese ho scelto una poesia di Gabriele D’Annunzio, considerando che in questi giorni difficili e di incertezze è un gradito inno alla vita e alla voglia di viverla sempre con gioia, malgrado tutto; ma il Vate ha lasciato anche un segno della famiglia Bucci ricordandola nelle “Novelle della Pescara”, in quanto furono suoi padrini Florindo Vincenzo Bucci, ufficiale medico di stanza della fortezza di Pescara e la moglie, di origini larinesi, Rachele Tamilia.
Questa famiglia, benché omonima, non è dello stesso ramo cui appartenne, tra gli altri, l’edificio in stile neoclassico su via Cluenzio e nota a Larino fin dal XVI secolo, tra gli esponenti vi ricordo don Giuseppe Bucci, teologo e arcidiacono della cattedrale, cui seguirono una serie di discendenti perlopiù avvocati.
I Bucci del palazzo in via Santa Maria, possedevano già un palazzo a Montorio nei Frentani, che mostra nel portale l’emblema della casata con l’arma con due stelle, una luna e una buccina (foto). Tito, di professione farmacista, trasferitosi a Larino ebbe quattro figlie che qui si sposarono, una s’imparentò con i de Gennaro e un’altra con i Palma, che, in seguito, divennero i proprietari del palazzo per questioni ereditarie.
Il blasone della famiglia Bucci a Larino compare molto simile, ma in campo azzurro, a quello di Montorio, ed è dipinto al centro della volta a botte dell’androne dell’edificio, costruito su una superficie libera del quartiere di Santa Maria della Pietà, all’interno delle mura cittadine, nelle vicinanze di alcuni locali di pertinenza dell’estinta famiglia d’Aulisa.
L’entrata principale è su via Santa Maria, che incrocia via Castagna, e, guardando dalla fine di questa via, pavimentata dall’originario motivo a “zipp’l” (tozzetti quadrati di pietra), appare, dopo una salita, nella sua freschezza dal sapore liberty, elegante e sobrio. L’impianto architettonico gioca sulla simmetria: il grande portone centrale, sormontato da un ampio balcone, si contrappone, nei suoi lati, ad altri due balconi più piccoli, con balaustre di ferro tornite di colore bianco e due ingressi secondari appartenenti allo stesso palazzo.
Il portone, di recente restaurato e riscoperto nel suo legno originario, era dipinto di verde, con i tipici battenti dal volto leonino; nella stagione fredda si apriva solo una porticina del grande portone, e nella bella stagione veniva spalancato completamente, così che, dal fondo la porta a vetri che dava sul giardino, restituiva a chi passava un’atmosfera soffusa di luce naturale e quasi magica, d’altri tempi (foto).
La bellezza del palazzo sta anche nel suo giardino, poiché nel progetto si è pensato anche a questo ma, in realtà, tutta via Circonvallazione, che lambisce gran parte del tessuto urbano, ci mostra una Larino verde e rigogliosa con colori e profumi di diverse essenze nei suoi balconi e terrazzi-giardino.
Adiacenti palazzo Bucci-Palma, altri due palazzi storici, quello dei baroni Magliano e di don Federico Martini hanno il loro spazio verde, e via circonvallazione affaccia sul Vallone della Terra, oggi un parco naturale visitabile in un percorso tra il verde e le fonti antiche (tra cui quella del miracolo di San Pardo) che collega il borgo medievale al Piano San Leonardo, il sito dell’antica Larinum.
Nei miei ricordi di adolescente (sono nato a due passi dal palazzo) ci sarà sempre la perduta dinamicità di questo quartiere, più noto ai larinesi come U Chian da Madonn, di via Santa Maria, di noi bambini che giocavamo “alla campana” (u c’ ppcariell) utilizzando i lastroni in pietra proprio davanti l’ingresso di questo palazzo; e solo oggi mi rendo conto della sua bellezza così pura ed equilibrata nell’architettura della facciata, e mi fermo a guardare, con la dovuta riverenza, l’arcata perfetta del portale, la sovra luce in ferro battuto e la chiave dell’arco, una grande ed elegante voluta, che sorregge la balconata, decorata con fiori e foglie.
Dal mio balcone, che dava sulle stanze al secondo piano del palazzo, da bambino, nelle calde serate estive guardavo una delle più anziane della famiglia seduta fuori dal suo balcone a farsi aria col suo ventaglio di pizzo nero e ascoltavo la musica del pianoforte; c’erano spesso ospiti con la famiglia al completo che festeggiavano, tutti eleganti e sorridenti, bella la gente, bella la musica e sul tutto prevaleva proprio la musica…..che mi faceva vivere, anche grazie alla mia spiccata fantasia, quello che, in quelle stanze, e in tempi non molto lontani, si rievocava l’atmosfera degli inizi del Novecento, la Bella Epoque; eh sì perché quel periodo è passato anche a Larino, ha influenzato stili di vita e ha lasciato diverse testimonianze anche architettoniche (ad es. il delizioso Villino Palma ex Colesanti e la più nota Villa Zappone).
L’immagine del portone spalancato del palazzo Bucci-Palma, con una viva nostalgia, propria dei tempi andati che sembrano, e forse lo sono stati, sempre migliori, mi lega alla figura della indiscussa e vera proprietaria, esponente di quella nobiltà che prima di essere “di fatto”, era un modo di essere, di comportarsi e spesso di rinunce, in virtù di una “noblesse oblige”.
Luisa Palma, nota e chiamata nel mio quartiere natio con l’appellativo di donna Sella era mattiniera, sempre affaccendata a tenere in perfetto ordine la sua residenza, viveva col suo fratello don Tommaso e, nelle ore pomeridiane, sedeva a leggere rivolta sul giardino, ma sempre con l’occhio vigile sul portone; mentre la mattina era pronta, precisa e sempre elegante nell’abbigliamento ad attendere sulla soglia la macchina che la portava a “Larin n’gopp” a far spese o a sbrigare altre faccende.
Ero contento e appagato, quando capitava la coincidenza di passare nel quartiere con la mia auto e la accompagnavo al Piano San Leonardo, in quel mentre ci aggiornavamo sulle novità larinesi e, ancora oggi la rivedo, un po’ più giovane, quando mi chiamava per un consiglio di restauro, forse anche solo per compagnia, perché si fidava del suo vicino che amava le antichità, le cose belle, artigianali e, immancabilmente mi mostrava le sue stanze sempre in perfetto ordine, con i mobili d’epoca tirati a lucido, le sue cose di famiglia, e, come ringraziamento me ne regalò diverse delle sue cose, che per lei avevano un preciso significato di appartenenza a un lignaggio, senza dubbio anche un sentimentalismo che non di rado è insito negli oggetti.
Donna Sella, elegante, precisa, alquanto severa all’apparenza, credo sia stata davvero l’ultima rappresentante di quel “ritratto di famiglia” nobile di quel quartiere, allarmata dalle imprecisioni, da una minima crepa del suo portone, per cui mi chiamava e voleva, e io capivo all’istante, che doveva essere riparata in giornata!
Tuttavia donna Sella con la sua vita terrena, consacrata alla famiglia e al suo lignaggio di N.D., alla cura del suo palazzo e alla buona lettura, se ne è andata in silenzio, in una asettica stanza d’ospedale, complice anche la pandemia, in solitudine.
Il mio rammarico è che non ho avuto l’occasione per darle un ultimo saluto, ma la immagino nelle sue ultime ore sempre vigile e serena, orgogliosa della sua esistenza e, consentitemi la riflessione, credo che ha lasciato questo mondo e Larino irrimediabilmente cambiati ma forse non del tutto “bruciati” come lo fu la casa dei nobili Trao.
In conclusione il mio invito è rivolto, soprattutto ai forestieri, a visitare questa e le tante dimore storiche del centro medievale, a vivere l’atmosfera di un passato ancora tangibile di questa realtà storico-artistica e di grande spessore culturale che non è soltanto la Larino mia.
Larino amata, sul colle e nel fosso.
Dal nobile incarnato, dal sudore speziato.
Solenne, fiera, devota e festosa nei lunghi giorni di maggio.
Come un acquazzone il silenzio
ha inondato il tuo glorioso passato.
Ma io sento il tuo respiro, ti cerco in quel silenzio
e il mio cuore trema come una corda al vento.
Sorridimi in questa quiete che sa di te, di amore,
di sensuali tigli, dai quali scende silenziosa la polvere
dei suoi fiori odorosi.
(alcuni versi di “Larino mia” di A. Stinziani, in Antologia Poetica “Percorsi”, 2021, Ed. Palladino)