RIPABOTTONI. Riceviamo e pubblichiamo la nota del Responsabile dell’Archivio storico diocesano Giuseppe Mammarella che spiega come si giunse al riconoscimento della Chiesa Madre di Ripabottoni ad ‘edificio monumentale’.
Mammarella scrive: “Nel 1926, con apposito Decreto apparso sulla Gazzetta Ufficiale, la Chiesa madre di Ripabottoni venne dichiarata “Monumento Nazionale”. Lo rese noto, con una missiva inviata all’Arciprete ripese il 12 ottobre di quell’anno, Alberto Magliano, Regio Ispettore Onorario dei Monumenti e Scavi a Larino, competente per l’intera area basso-molisana.
Il documento in questione recita testualmente: “Con viva soddisfazione comunico […] che dietro mia proposta, approvata dalla R. Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna per l’Abruzzo e il Molise, la Chiesa di S. Maria Assunta […] è stata dichiarata ‘Edificio d’interesse Nazionale’, che equivale alla denominazione di ‘Monumento Nazionale’ abolita nelle vigenti leggi e regolamenti sulla conservazione dei monumenti poiché dava luogo a malintese interpretazioni. Perciò codesta Chiesa sarà inclusa nell’elenco degli ‘Edifici Monumentali’ edito dal Ministero della Pubblica Istruzione […]: quindi la distinzione data alla Chiesa in parola per gli affreschi del Gamba è assai notevole […]. Il R. Ispettore Onorario A. Magliano”.
L’antica Chiesa parrocchiale di Ripabottoni a due navate, non più rispondente alle esigenze della popolazione, fu abbandonata e, per volere del benemerito Vescovo di Larino mons. Tria, ricostruita poco distante, su disegno del noto architetto napoletano Ferdinando Sanfelice. I lavori di costruzione furono eseguiti tra il 1731 ed il 1744. La bella facciata presenta tre ingressi in corrispondenza di altrettante navate che rendono il sacro edificio tra i più vasti dell’attuale diocesi. Custodisce tante opere d’arte, tra cui la grande pala d’altare raffigurante l’Arcangelo San Michele, opera del Solimena, gli affreschi e le tele del noto Artista di Ripabottoni Paolo Gamba, molto attivo nel Settecento.
Chi era il Personaggio che si adoperò per l’ottenimento del prestigioso riconoscimento? Alberto Magliano (1846-1928), illustre e benemerito cittadino di Larino, più volte Sindaco della città frentana nel periodo compreso tra il 1899 ed il 1914, era il padre di Giuseppe (1883-1971), Senatore della Repubblica per quattro legislature consecutive (1948-1968) al cui nome è legata la legge con cui, nel 1963, il Molise divenne la ventesima regione d’Italia.
Alberto nutriva un amore particolare anche per Ripabottoni dove, nel 1817, la sorella 17enne del nonno paterno, Emilia Magliano, sposò Tito Barbieri (senior) e diede alla luce il più noto Tito (junior), una delle maggiori figure del liberalismo molisano.
Il nonno di Alberto, Giandomenico (1786-1856), Socio Corrispondente della Reale Accademia Ercolanese di Archeologia, ebbe contatti con vari studiosi della materia tra cui Theodor Mommsen, più volte suo ospite a Larino. Giandomenico lasciò un interessante manoscritto sulla storia e le antichità larinesi che venne ripreso, completato e poi pubblicato proprio da Alberto nel 1895.
Giandomenico aveva un fratello (Giuseppe Antonio, 1792-1872, Vescovo “in partibus infidelium” di Eleusi ed autore di importanti scritti in materia ecclesiastica) e tre sorelle tra cui Emilia.
Il giovane consorte di Emilia Magliano, Domenico Tito Giuseppe Lorenzo (1796-1821) di Ripabottoni, rimase vittima di un agguato, nell’agosto del 1821, mentre si apprestava a partecipare ad un convegno di Carbonari. Emilia, incinta, partorì il 18 ottobre seguente e decise di imporre al figlio gli stessi primi due nomi del padre, Domenico Tito, a cui volle aggiungere anche quelli di Michelangelo (nome del suocero tornato alla Casa del Padre nel 1799, all’età di 40 anni) e Raffaele.
Domenico Tito junior (in alcuni atti indicato anche con i nomi di Tito Michelangelo) che nel 1847 sposò Antonietta Franceschini di Casacalenda e morì a Campobasso nel 1865, aveva una sorella, Cleonice Maria (1819-1872) che nel 1838 contrasse matrimonio con Nicola Andrea Miozzi (1811-1883), medico di Bonefro.
Emilia, in seconde nozze, sposò Pietrantonio de Gennaro di Casacalenda, un reduce della Campagna napoleonica in Russia del 1812. I due fissarono la loro dimora in Larino e generarono Alessandro. Nel 1841, però, il 54enne Pietrantonio morì e quattro anni dopo scomparve anche Alessandro, alla tenerissima età di 8 anni, motivo per cui Emilia decise di spostarsi definitivamente a Napoli.
I primi due figli di quest’ultima, Cleonice e Tito, preferirono continuare a vivere nella “Ottava Contrada dell’Olmo e Borgo del Fosso” di Ripabottoni, con la nonna paterna, Fortunata de Matteis di Castelvetere, scomparsa nel 1840 all’età di 74 anni.
Domenico Tito, educato nei medesimi ideali paterni, risultò (specialmente col cugino Paolo Caprice, 1819-1904) tra gli animatori del partito che, nella Provincia di Molise, cospirò contro il regime borbonico”.