Stinziani scrive “Nel Molise il fenomeno dell’incastellamento di stampo feudale seguì in maniera notevole gli insediamenti rurali.
Sul nostro territorio si contano una ventina di castelli, molti di essi sono in uno stato di completo abbandono, perché non più abitati, (vedi il Castello d’Evoli a Castropignano) e tanti altri appaiono molto rimaneggiati nel corso dei secoli dalle casate cui sono appartenuti.
Tra i castelli più belli del Molise c’è quello di Gambatesa, in tempi recenti ribattezzato dalla Soprintendenza “di Capua”, forse per dare maggiore rilievo al proprietario Andrea di Capua, duca di Termoli e conte di Gambatesa, cui passò verso la fine del XV sec., e nel 1550 furono commissionati da Vincenzo di Capua al Decumbertino gli affreschi nelle stanze nobili. Ma il primo feudatario, alla fine del XIII sec., fu Riccardo di Pietravalle, passato alla storia come Gambatesa, per un suo difetto fisico, che diede anche il nome al borgo.
Il castello che in origine era un tipico fortilizio medievale di difesa, venne trasformato nel periodo rinascimentale dalla famiglia di Capua in un castello-residenza, divenne poi proprietà di baroni e marchesi, di privati e oggi è nel novero dei beni culturali appartenenti allo Stato.
Tuttavia dell’antico edificio è ancora visibile l’originaria struttura medievale, quadrata e massiccia, con torri angolari sul lato nord-est e una merlatura papale sul lato sud-ovest.
Il cambiamento di stile apportato con la famiglia di Capua è evidente nel portale bugnato, nelle finestre e nella piccola loggia con i tre archi a tutto sesto sul lato nord-ovest.
Ma la vera bellezza si scopre senz’altro all’interno, in un susseguirsi di una sorta di Wunderkammer, qui sorprendono i mirabilia in buon fresco del pittore manierista Donato Decumbertino, discepolo di Giorgio Vasari.
Ho avuto l’occasione di visitare due volte questo Castello, la prima fu dettata da curiosità e perché tanto se ne parlava, ma non apprezzai appieno quel ciclo di affreschi che non erano ancora stati restaurati, e io ero ancora digiuno di una preparazione che successivamente ho acquisito con gli studi di Arte e Conservazione dei Beni Culturali.
La mia seconda visita fu voluta e motivata anche da una mostra di sculture antiche lignee di arte sacra, allestita nel Castello.
A volte le calamità naturali, e qui mi riferisco al sisma che ci ricorda inevitabilmente gli “Angeli di San Giuliano di Puglia”, sono uno sprone per una rinascita che inizia col programmare una ricostruzione che tenga ben presenti le norme antisismiche.
L’evento calamitoso, oltre le abitazioni non ha di certo risparmiato chiese, musei e vari edifici storici, essi sono i “contenitori” di diverse opere d’arte, per cui si è reso indispensabile anche un ricovero alternativo per queste testimonianze storico-artistiche.
In particolare, sotto la direzione della dottoressa Dora Catalano, venne allestito nel Castello di Civitacampomarano un laboratorio di restauro, e lì diverse opere d’arte, soprattutto sculture, furono trasferite, e in attesa di tornare nelle loro sedi sono stati oggetto di restauro. Ebbene queste sculture, una volta restaurate, furono le protagoniste di una importante mostra, e a quale cornice ideale si pensò se non al Castello di Capua? (e non mancò la visita del noto critico d’arte V. Sgarbi).
La mia seconda visita si rese necessaria e ben motivata, anche perché tra quelle antiche sculture c’era la Madonna delle Rose, oggetto di una mia tesi che ha per tema la scultura lignea medievale molisana. (Ho scritto di questa scultura lo scorso marzo in viaggionelmolise, “Tra sacro e profano le travagliate vicende della Madonna delle Rose da Montorio nei Frentani”).
Dopo i restauri le sculture esposte e gli affreschi del Decumbertino avevano ritrovato la loro dignità nel Castello di Capua, posto su una collina da cui si può ammirare lo specchio del lago d’Occhito.
Il borgo di Gambatesa conserva la tipica struttura medievale, con i suoi vicoli, le piazzette, i portici e le ripide scalinate che conducono alla Chiesa di San Bartolomeo e quindi al Castello delle meraviglie.
L’edificio si sviluppa su quattro livelli, di cui il primo, scavato in parte nella roccia, era usato per i magazzini e le stalle, con ampi locali con volte a botte e un maestoso camino.
L’ingresso principale è al secondo piano, vi si accede da una scalinata a tre rampe, qui si può ammirare lo straordinario ciclo degli affreschi. L’ultimo piano, che ha subito diversi rimaneggiamenti, è il più basso ma offre un belvedere dalla loggetta rinascimentale. Infine dal terrazzo merlato è possibile vedere tutto il borgo medievale e il lago di Occhito.
Questa parte di Molise, tra i monti, ha due tipi di collegamenti, quello dei tratturi e quello della Valle del Tappino.
I primi venivano percorsi dai pastori assoldati da importanti famiglie, che spostavano le greggi dall’Alto Molise o dall’Abruzzo nelle Puglie durante il periodo autunnale, per ritornare in primavera. Il comune di Foggia aveva un ufficio preposto a questa antica migrazione ed era la “Dogana della mena delle pecore”.
Il ciclo degli affreschi, nonostante diverse lacune, e apparentemente illogico, contiene una alta simbologia, oltre metafore, allegorie e riferimenti alla storia dell’antica Roma.
Il Decumbertino dipinge una rarissima rappresentazione della costruzione della cupola di San Pietro, riportando anche la facciata della basilica; un quadro molto suggestivo anche per la presenza di fedeli ed ecclesiastici, che animano la scena; altrettanto suggestivo è il quadro che ricorda L’incendio di Roma.
Viene spontaneo pensare che il pittore prima di affrescare il Castello abbia soggiornato per un buon periodo a Roma, dove prese “appunti”, in particolare della costruzione della fabbrica di San Pietro, che però è riportata con qualche errore, forse di memoria, nel quadriportico che era a quattro fornici, su tre registri, ma che il Decumbertino riduce a tre e su soli due registri.
Mi preme ricordare che l’antica Basilica voluta da Costantino sul luogo del martirio di San Pietro, fu gravemente danneggiata da un incendio, per cui Giulio II e i papi successivi preferirono al restauro un nuovo edificio in stile rinascimentale, con la grandiosa cupola michelangiolesca.
Molto belle, nel salone principale del Castello, sono le quattro figure delle Virtù, forte è il rifermento alla plasticità della scultura michelangiolesca. Anche queste come l’intero ciclo sono incorniciate da finte cornici, tra l’altro diverse tra di loro, come in una sorta di pinacoteca che il proprietario del Castello espone ai suoi ospiti. Questi quadri, sebbene molto diversi nei temi, sono accomunati dal medesimo stile manierista, e sono in mostra nelle varie Sale: delle Virtù, delle Maschere , del Pergolato, del Cammino e dello Studiolo.
Il Decumbertino preferì trattare più di un tema, malgrado penalizzato dagli spazi del Castello se paragonati ai Palazzi romani di cui sicuramente vide le decorazioni de “la maniera”, per affermare il prestigio della famiglia di Vincenzo di Capua.
E’ stata anche avanzata una ipotesi che vorrebbe, considerando l’importanza degli affreschi, una competizione con la famiglia della cognata Isabella, a lui promessa, ma che poi andò in sposa a Ferrante Gonzaga, ma resta tale e non convince.
E’ certo che Gambatesa è stato uno dei centri più rappresentativi delle attività della transumanza, vicino a uno dei principali tratturi dell’Abruzzo , del Molise e della Capitanata, inoltre nel periodo della commissione contava una popolazione di 361 fuochi.
Quindi possiamo senz’altro affermare che lo stesso feudatario chiese al Decumbertino di presentare in questi quadri la sua personalità in tutte le sfaccettature, alcune non sono propriamente palesi ma raccontate artisticamente; ad esempio nei fascioni decorativi fitomorfici ci sono simboli sessuali legati alla cultura popolare, un abile ed elegante pretesto per raccontare le attività amatorie di Capua; e al di sopra di un fascione “erotizzato” compare lo stemma di Capua-del Balzo.
Nell’atrio del Castello la volta a crociera mostra quattro affreschi, tra cui Il ratto d’Europa e la Danae posseduta da Zeus, molto deteriorati ma ancora leggibili e anch’essi pregni di significati.
Vale davvero la pena ritornare di nuovo a considerare le quattro figure delle Virtù, è in esse che il castellano vuole identificarsi quale buon governatore, sono gigantesche (quindi pare che egli ne abbondi), e le fa disporre nell’ambiente più rappresentativo del suo Palazzo.
Nel ciclo pittorico il Decumbertino sviluppa anche il tema del paesaggio, certo proprio del suo tempo e ricorrente nelle decorazioni dei Palazzi gentilizi romani e napoletani, ma egli insiste nell’inserire in queste bucoliche e arcaiche vedute un albero reciso . L’albero simbolicamente rappresenta la vita, ma se reciso acquisisce l’opposta simbologia, in sintesi questa iconografia è parte del programma di celebrazione della famiglia di Capua, ed esattamente di un tragico episodio della sua storia:
la vita spezzata del prozio di Vincenzo e di sua moglie, che si sacrificò per salvare la vita del re Ferdinando d’Aragona.
Il ciclo degli affreschi, terminato dal Decumbertino il 10 agosto del 1550, desta ancora tante perplessità, molti quadri non hanno trovato una lettura chiara e soddisfacente.
L’artista bizzarro, eclettico che forse ebbe anche delle discussioni col castellano, e che era comunque conscio di portare avanti il programma di celebrazione dei di Capua, si firma in una epigrafe su quattro righe contenute in un tondo a fondo nero.
IO DONATO PINTORE
DECUMBERTINO PINSI
A DIE MENSI X AGUSTI NEL
L’ANNO DEL CINQUANTA
In esso appare dipinto anche un ragno che tesse la sua tela, sorprendente, ma non dipinto a caso, anche il pappagallo variopinto sul trespolo, alla destra del tondo.
Per una lettura più che illuminata vi consiglio “Il Castello di Gambatesa” di F. Valente, Bari 2003.
Io posso solo anticiparvi che questa scelta del ragno ha riferimenti mitologici e precisamente alla sfida tra Pallade e Aracne, che tanto ha ispirato artisti e poeti:
Ma è grigia la tela di Aracne,
mortale condanna il suo tessere infinito.
Un amore proibito si spegne senza colori,
desiderio o disperato amore,
nettare e ambrosia sono degli dei.
Anima destinata a vivere monocromi amori,
identici e fragili, tele di ragno s’imperlano
di gocce di fresca rugiada.
Sono alcuni versi da “Amori” di A. Stinziani,
in Percorsi, Edizioni Palladino, Ripalimosani,
aprile 2021
Il ritratto di Vincenzo di Capua è affrescato in un clipeo circolare sul camino in pietra della prima stanza del piano nobile, manca una iscrizione che forse era contenuta nell’ampia lacuna, forse!
Ma sicuramente si tratta di Vincenzo di Capua col capo coperto da un elmo con visiera e paragnatide.
Una finta tenda trattenuta da un voluminoso nodo, al lato del camino, invita ad entrare in un’altra stanza con decorazioni sempre sorprendenti che a questo punto, per non dilungarmi oltre, rischiando di annoiare il lettore e di rovinar queste sorprese, invito a visitare di persona questo meraviglioso garbuglio di arte, storia e mitologia”.