LARINO. La festa di San Pardo, il Maggio larinese, l’esplosione di gioia e fede, il lento andare di un popolo che si riconosce da tempo immemore nel suo patrono e conta i giorni dell’anno in attesa del dì di festa.
Vogliamo oggi pubblicare ergo condividere la riflessione del bravo Pardo Sedile che dalla sua pagina Facebook, Sei di Larino se… ci lascia non soltanto un’apprezzabile considerazione di questo tempo sospeso dalla pandemia. ma anche la sua immensa passione per la festa patronale frentana che proprio in questi mesi si è arricchita di articoli storici che parlano proprio della festa in onore del santo vescovo del Peloponneso.
Buona lettura.
“Credo – scrive Sedile – che in questo delicato periodo storico ci siano cose più importanti di tradizioni, di feste, di santi. Gli eventi oramai noti a tutti però non possono spezzare il filo che lega il larinese alle tradizioni, in particolar modo alla festa di San Pardo. E quindi, considerato anche l’imminente arrivo del Maggio Larinese, dopo qualche titubanza, ho deciso di tornare a condividere alcuni articoli relativi alla festa di San Pardo svoltasi nei secoli scorsi, che ho reperito in questi due anni di pandemia.
Sperando di non turbare la sensibilità di qualcuno.
I RACCONTI DELLA FESTA DI SAN PARDO (di Pardo Sedile)
LA FESTA DI SAN PARDO RACCONTATA NELL’ANNO 1924 da Lyna Pietravalle – Articolo tratto dal periodico “Il mattino Illustrato” dal titolo ‘LE FESTE PANICHE ITALIANE’ SAN PARDO DI LARINO.
La grassa Larino del Molise ha un segno di vetusta sapienza e potenza nella rievocazione d’un bel sogno mistico conservato intatto nel culto e nella tradizione degli avi. La civiltà della cittadina sazia di olii morbidi e sagaci s’onora di questa festa veramente bella, ricca, profumata di paganità, sacra di un significato terrestre che nessuno ha potuto mai rallentare, sfrondare, diminuire nel culto e nella passione della sua gente.
San Pardo era un vescovo greco del Peloponneso che aveva vissuto da eremita nella foresta di Lucera ed era morto in fama di santo.
I larinesi sentono la poesia di questo solitario asceta esiliato sulle rive della bellezza ai contrafforti solenghi del più ignoto Abbruzzo e lo rubano con dei carri. Il suo volto d’antica medaglia è intatto. Ma sorge la disputa con i paesi vicini per la preziosa conquista del corpo salvo di corruzione che odora di santità come un cedro del Libano. E allora si lascia il carro che lo trasporta tirato dai buoi senza guida. Poco prima di Larino sulla gran strada maestra i pazienti e pii portatori hanno sete e v’è attorno l’arsura. E si inginocchiano esausti. Zampilla allora la freschissima fontana che si chiama col nome del santo. E’ il carro giunge a Larino portando la benedizione e la preferenza del santo greco. Su questa armoniosa leggenda si innesta la bellissima festa della carrese.
Ogni famiglia nei secoli ha il suo carro tirato dai buoi, ispirati dalla tradizione atavica alla solennità del rito pio, alla genuflessione caratteristica che compiono pensosi e prudenti con gli occhi annegati di dolcezza estatica. I catti guerniti di selvaggina sono diventati, per la festività singolare, capanne vaganti, ricche di merletti e lini nuziali, e frange e fiori di carta.
Dentro, i familiari suonano la carrese sulle antiche torbe campestri e libano copiosamente. L’antichissimo dei carri porta il venerabile corpo del santo ed il suo busto d’argento è l’ultimo. Si svolge così una teoria magnifica di colori nella vivezza tersa del sole, che esalta, tripudia e consola.
I Carri più giovani sono dei piccoli che precedono con carriole dipinte tirate da capretti nei e bianchi, e pecorelle stordite e cani impetuosi. La fastosa processione simbolica sale il pio colle del camposanto, e fa visita a S. Primiano che è lassù a vigilare i morti ed i vivi nella cappella funebre. Ritorna alla sera. Spenta ogni luce ardono solo le fiaccole della carrese che spargono attorno aloni di fuochi e riflessi mistici. Dinanzi alla Chiesa le statue attendono il prezioso corpo di San Pardo puro e ardente nella gloria del rito come un olio essenziale di salute eterna. Ed allora ogni portatore del carro suona a distesa la campana del bove, simbolo olimpico della bontà della terra e della fatica, quella stessa che frange il silenzio casto dei campi contriti dall’aratro e percossi dalla falce. I buoi si inginocchiano nella preghiera e nell’adoremus e tutti i carri pendono prostrati come corpi vivi. Fioriscono a mille, creati dalla passione liturgica antica e nuova, gli ingenui stornelli della carrese sacra culminati nel grido “ San Pardo vò lu prezzo e vo l’onore, sona campana mia sti canto d’amore”