LARINO. Come sempre riceviamo e pubblichiamo il nuovo intervento dell’artista larinese Adolfo Stinziani che oggi ci offre uno spunto di riflessione sull’opera lignea, meglio conosciuta, con il nome di Madonna delle Rose di Montorio nei Frentani.
Stinziani scrive “Affinché il nostro Molise che esiste e resiste non venga solo nominato per le sue bellezze naturali e le tradizioni enogastronomiche, mi sono promesso di scrivere articoli che trattano di arte, abbracciando vari periodi storici che vanno dal periodo antico a quello medievale, dal rinascimentale a quello contemporaneo. Perché, a mio avviso, senza cultura non c’è futuro ed in questo orribile periodo pandemico assume pieno valore anche l’affermazione che la cultura è la cura.
Questo mio articolo prende in esame dei prodotti artistici verso cui ancora permane un atteggiamento prevenuto, derivante da pregiudizi critici che si sono radicati nel corso dei secoli.
Non v’è ragione di scompagnare la statuaria lignea dalla statuaria in pietra. (P. Toesca)
La scultura lignea, tanto meno quella policroma, nel ‘500 non era affatto considerata, i trattati del tempo delineano in maniera incisiva la differenza nel giudizio di valore fra l’artista che lavora il marmo o il bronzo e colui che intaglia il vile legno.
Il Vasari, anche se scriverà di carnosità e morbidezza del marmo e del bronzo, esprime ammirazione per il simulacro di San Rocco di Veit Stoss collocato alla Santissima Annunziata a Firenze, definendola: bellissima sovra tutte le altre che si veggia intagliate in legno, poiché questa era senza alcuna coperta di colori o di pitture. Vincenzio Borghini affermerà che la forza dello scultore e la virtù consiste né dintorni dati dallo scalpello, e se qualche goffo nell’arte usa i colori, esce dalla natura di quell’arte.
Da questi presupposti si creò una sostanziale cesura tra la povera scultura lignea e quella litica o bronzea, che si farà interprete di un gusto classicheggiante che non accetta la dicotomia pittura-scultura, in quanto mezzi espressivi che hanno caratteristiche diverse. Tuttavia rimane quasi un monito l’epigrafe nel Duomo di Pisa in cui Giovanni Pisano, figlio di Nicola, il più grande scultore del Duecento precisa di essere sculptor in petra ligno et auro.
In sostanza il problema era sorto intorno alla distinzione delle Arti nel pensiero teorico cinquecentesco, una disputa tra Pittura e Scultura che verte sull’opposizione tra colore e rilievo, con chiare affermazioni nella letteratura artistica; per cui la scultura lignea, compresa quella policroma, venne inquadrata tra le Arti Minori, anche se in tempi più recenti il conte Leopoldo Cicognara preciserà….non essendo a noi nota la scultura degli antichi fuorchè per opera dei soli marmi, e di pochissimi bronzi, vale a dire col mezzo di una delle sue minime parti, il gusto dei moderni naturalmente si è formato su questa sola…
Il Winckelmann affrontò la questione del colore, ricordando le fonti che descrivono statue dipinte o rivestite in lamine d’oro, ma espresse un giudizio assolutamente negativo sulla pratica di colorare i bassorilievi considerando che…hanno di per se stessi i lumi e le ombre…anzi tutto confonderebbesi, ove si volesse, come nella pittura indicare per mezzo de’ colori ciò che v’ha di sollevato e d’incarnato. In sintesi nel ‘500 tutta la produzione di scultura lignea, non solo perde di dignità, ma non viene affatto considerata.
Bisognerà aspettare gli inizi del ‘900 affinché la scultura lignea venga apprezzata e valorizzata senza insidiose disquisizioni o pregiudizi da parte degli storici dell’arte.
Infatti risale al 1904 un saggio di P. D’Achiardi, apparso sulla rivista L’Arte di Adolfo Venturi (Alcune opere di scultura in legno dei secoli XIV e XV, pp. 657-676) che allarga l’orizzonte della Storia dell’Arte italiana verso quei manufatti che in altri Paesi europei erano già da tempo oggetto di studio e di ricerca.
Inoltre bisogna considerare che questo disinteresse va anche ricercato nella mancanza di puntelli documentari, ma essenzialmente nel pessimo stato di conservazione in cui essi ci sono pervenuti. Molte sculture sono alterate da ridipinture, cosiddette rinfrescature, che erano nella prassi, talora camuffate da curiosi paludamenti, parrucche, mitre, ex voto e altri ornamenti purtroppo tollerati in nome della venerazione popolare, ma anche per sublimare il povero materiale legno.
Ebbene anche nel Molise nel periodo medievale c’è stata una notevole produzione di sculture lignee, molte non si sono conservate per ovvi motivi legati alla deperibilità del legno o per eventi ambientali e storici. Alcune ben restaurate o in un buono stato di conservazione sono davvero emblematiche e testimoniano una florida attività artistica sul nostro territorio, malgrado le condizioni economiche precarie, ma non siamo in possesso di sufficiente materiale documentario per una precisa ricostruzione storica. Quindi non possiamo parlare di vere e proprie botteghe, ma certo di artisti locali che sfiorarono l’arte pura. Tantomeno possiamo parlare di uno stile propriamente molisano, per cui ci si avvale di analogie stilistiche con la produzione nell’ area abruzzese e campana.
Nel XIII sec. nel Meridione abbiamo le manifestazioni più rilevanti di scultura lignea, che fu parallela a quella litica e ha caratteristiche stilistiche riferibili al romanico avanzato e al romanico-gotico, è da escludere lo stile bizantino, di cui spesso non si distingue la sostanziale differenza con quello occidentale.
La scultura lignea di Santa Maria delle Rose, detta anche del Saccione, dal nome della località in cui sorgeva la Cappella ad essa intitolata, fino a qualche tempo fa era conservata nel Museo Civico di Larino. Io ne fui affascinato fin da ragazzo, era posta in una delle sale dei mosaici, nel Palazzo Ducale che è anche la sede del museo cittadino.
Forse già allora, vedendola così malridotta, nacque la mia passione per il restauro (che in età matura divenne la mia professione), e capii dopo il mio apprendistato in bottega e i miei studi universitari che era stata comunque oggetto di un intervento di restauro. Precisamente fu restaurata per la prima volta nel 1974 dal professionista romano Mario Picchi.
La statua fu salvata dal completo abbandono negli anni sessanta grazie al parroco di Larino don Salvatore Mucci, originario di Montelongo, che avendo svolto la sua prima missione a Montorio sapeva dell’antica statua che si conservava in un cassone dietro l’altare della Cappella di Santa Maria del Carmelo.
Venne ritrovata da qualche persona devota che la salvò dalla completa distruzione, era conficcata col volto nel terreno e se ne faceva un uso profano, serviva come abbeveratoio per le bestie al pascolo, per via della cavità che presenta sul retro.
Quindi il parroco informò il montoriese, estimatore d’arte e mio carissimo amico Guido Vincelli, che la reperì portandola al Museo Civico di Larino. La vicenda del completo abbandono della statua ha lontane origini ed è tuttora oggetto del patrimonio orale delle comunità di Montorio e Montelongo. Gli abitanti di Montelongo speravano di impadronirsi dei cospicui possedimenti terrieri del convento di Santa Maria delle Rose (elencati nel Tavolario della fine del XVII sec., conservato nell’Archivio di Santa Maria Assunta in Montorio dei Frentani) per sfruttarli come pascolo e coltivarli.
Dopo un lungo periodo di violente lotte tra gli abitanti di Montorio e Montelongo, questi ultimi si aggiudicarono i terreni, mentre i montoriesi ebbero la statua della Madonna.
In effetti questa statua era così venerata anche dai pellegrini che venivano da regioni limitrofe, che i montoriesi, forse più pacifici e devoti la accolsero volentieri in cambio dei circa cento ettari di proprietà del convento. La fine della controversia condusse anche alla fine della devozione dei montelonghesi e alla distruzione della Cappella intitolata alla Madonna, unico resto dell’antico convento.
Il modo in cui la statua è stata intagliata fa pensare ad un’opera provinciale, non è chiaro che si tratti di una Madonna, certo è che ha resti di una corona sul capo. Il pessimo stato di conservazione, ma soprattutto l’uso profano che ne è stato fatto, non può restituire in pieno le antiche fattezze, sono ormai distrutti: il naso, la fronte, le mani, gli avambracci, parte degli occhi, della testa e della corona intagliata nel blocco ligneo con il resto dell’intera scultura. Non vi è traccia del Bambino, ne vi sono segni evidenti che possono confermare la sua presenza.
Poiché è stata oggetto di una mia inedita tesi sulla scultura lignea medievale molisana, in cui mi occupai in particolare del suo restauro, rintracciai e incontrai a Roma il restauratore Mario Picchi che, felicissimo, mi parlò della statua e mi diede copia della scheda tecnica di restauro. Non sto qui a riportare le fasi del lungo e delicato restauro, ma è importante riportare che si è trattato di un intervento di tipo conservativo. Lo stato in cui versava era davvero pessimo, aveva perso gran parte della policromia, mutila delle braccia e la base di appoggio era erosa dal lavorio del tarlo.
Tuttavia, come insegna il grande teorico del restauro C. Brandi:
L’opera d’arte gode di una singolarissima unità, per cui non può considerarsi come composta di parti…dovrà continuare a sussistere “potenzialmente” come un “tutto” in ciascuno dei suoi frammenti ……
Lo stile del simulacro è romanico-gotico, anche se l’artista ha reso più pieno il volto, come se avesse a modello un viso contadino; i capelli scendono ai lati del collo, ma vengono arrotolati e avvolti in una stoffa colorata come era la moda del tempo; il corpo è snello anche se alquanto appesantito dal manto che scendendo dal capo coronato, copre le spalle per poi avvolgere quasi completamente tutta la figura, lasciando scoperta la veste azzurra cosparsa di stelle dorate, anche la scollatura circolare della veste è dorata nella sua bordatura. Gli elementi icononografici come la rigida frontalità, lo sguardo fisso e gli occhi abnormi rimandano ad una cultura arcaica o più direttamente a quello scontato concetto di “arte popolare”, ma forse l’artista proprio nell’intaglio essenziale del volto ha voluto imprimere quei caratteri di metemperiticità e di santità consone a questa immagine tanto venerata in passato.
Dalla scheda dell’opera d’arte che ho visionato nell’archivio della Soprintendenza ho notato delle incongruenze, poiché da un mio attento esame dal vivo si evince che essa presenta due attacchi per le mani, posti ai lati che fanno supporre un atteggiamento orante e non quello come riportato nella scheda di una Madonna-regina che sostiene il suo ampio mantello: non vi sono parti esposte che possono confermare che la mano sinistra sostenesse le pieghe del mantello.
La mia affermazione è avvalorata dal confronto con altre ben due statue lignee, dello stesso periodo, presenti nel Molise, esse sono le Madonne oranti, dette più comunemente della Libera, di Cercemaggiore e Campobasso.
L’appellativo “della Libera” si deve alla liberazione della città di Benevento, assediata dall’imperatore bizantino Costante, in quella occasione la Vergine apparve a San Barbato che fiducioso della sua protezione esortò il duca del tempo Romualdo a resistere e combattere. Così dopo la miracolosa vittoria su Costante, il culto della Madonna orante ebbe vastissima diffusione in tutto il Sannio.
Ma la travagliata vicenda della Madonna delle Rose non si ferma nel Museo Civico di Larino, perché dopo il terribile sisma del 2002 (per cui rinviai la mia tesi che si concludeva auspicando per la statua una più idonea conservazione in una teca), viene portata con altre statue lignee in un laboratorio di restauro allestito nel Castello di Civitacampomarano. Dopo i restauri cui soprintende la dottoressa Catalano, che incontrai in diverse occasioni per la mia tesi, le statue vennero esposte al pubblico. Non esitai a visitare la mostra e vidi la Madonna delle Rose al centro della sala del Castello di Gambatesa come una vera regina, ammirata da tutti e molto apprezzata anche dal critico d’arte Sgarbi, presente all’evento.
Infine la statua è tornata a Montorio dei Frentani e l’ho rivista con immenso piacere, solo che quel secondo restauro, e non è solo un mio parere, le ha tolto qualcosa, tanto che il Vincelli che la salvò dalla distruzione mi chiamò perché voleva scrivere con me, che ben conoscevo quella scultura, un articolo che evidenziasse questo dissenso ma poi il caro Guido venne a mancare.
Purtroppo, tuttora quella pregevole statua è appoggiata maldestramente su un mobile dell’ufficio parrocchiale , senza un sicuro e degno piedistallo e libera da ogni protezione, tantomeno non può essere liberamente visibile al pubblico, in quella stessa Chiesa di Santa Maria dell’Assunta dove è conservata la ormai arcinota Annunciazione di Teodoro D’Errico da Amsterdam.
Nell’ultima foto la Madonna delle Rose si scopre del suo imballaggio plastico ed è incorniciata da quadri con figure di Santi Martiri con l’immancabile palma, bene! Beata tra i Santi e perlomeno adesso e a casa sua, ma voglio concludere con un appello affinché quel prezioso manufatto medievale venga meglio conservato ponendolo in una teca, nonché valorizzato con l’esposizione al pubblico non solo dei cultori dell’arte, ma anche dei fedeli, poiché la tradizione popolare ha conservato due Laudate che ancora oggi invocano quel nome, la Madonna del Saccione. In particolare viene nominata nella millenaria carrese di San Pardo di Larino, evocando quelle atmosfere di religiosità, quei luoghi, quei tempi remoti e il suo culto che era fortemente sentito nel Medioevo.
E infine aggiungo una partecipata invocazione: impariamo a vedere e a capire i nostri tesori d’arte molisana e rispettiamoli!”
Adolfo Stinziani