LARINO. In occasione del Dantedi che in questo 25 marzo cade proprio nel giorno in cui si celebrano i 700 anni della morte del Sommo Poeta riceviamo e pubblichiamo l’intervento dell’artista larinese Adolfo Stinziani.
Adolfo questa volta ci parla proprio di Dante e di un suo viaggio nel mondo dantesco che raggiunge anche la vicina Palata dove con sommo stupore scopre un affresco che celebra lo storico incontro tra Dante e Beatrice.
”Ci sono quei cosiddetti tormentoni estivi che ti entrano nella testa sia per la musica che per il testo, ma che durano una stagione, poiché nella seguente quelle canzoni saranno dimenticate e fagocitate da altre nuove. Anche io sono stato rapito da questi fuochi fatui e di alcuni sento ancora le atmosfere, gli odori di calde estati allegre e spensierate. Molti testi di queste canzoni sono alquanto frivoli, ma tanti parlano anche di sentimenti, di amori brevi o che nascono per essere indimenticabili e perché no di amori che durano tutta la vita.
I’ cominciai “Poeta, volentieri / parlerei a quei due che ‘nsieme vanno/ e paion sì al vento esser leggieri”.
Ed elli a me: “Vedrai quando saranno/ più presso a noi; e tu allor li priega/ per quell’amor che i mena, ed ei/ verranno.
…………..
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende/ prese costui de la bella persona/che mi fu tolta; e il modo ancor/m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona/ mi prese del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Son alcuni celebri versi del Canto V della Divina Commedia
(più noto come il Canto di Paolo e Francesca)
Il fenomeno dell’intertestualità, ovvero l’ intrattenere rapporti con la tradizione letteraria classica e, in questo caso, per citare il sommo poeta “aulica”, ci fa capire che l’opera di Dante non è una stagione vissuta, passata e pressocchè dimenticata, ma immortale, unica per la sua grandezza letteraria ed ancora attuale.
Tanto che Venditti e Jovanotti in alcune delle loro note canzoni hanno citato il verso : Amor, ch’a nullo amato amar perdona.
Venditti nel testo della sua canzone Ci vorrebbe un amico, scrive:
E se amor che a nullo ho amato, amore, amore mio perdona, in questa notte fredda mi basta una parola.
E Jovanotti più dissacrante, ma comunque omaggiando i versi danteschi, nel testo della canzone Serenata rap scrive:
Amor che a nullo amato amar perdona porco cane.
Lo scriverò sui muri e sulle metropolitane, di questa città di milioni di abitanti che giorno dopo giorno ignorandosi vanno avanti.
L’incontro con Dante, lo studio delle sue opere, e in particolare del suo Capolavoro, non è stato per me, come per molti studenti, così pesante o traumatico, e devo per questo ringraziare anche la mia professoressa O. Freda, che ha saputo trasmettermi la piena ammirazione sia per il poeta che per l’uomo Dante.
Tuttavia , oltre la scuola, anche gli artisti di ogni tempo attraverso la musica, come ho fatto già notare, o tramite le arti visive omaggiano e perpetuano il ricordo del padre indiscusso della lingua italiana e sommo poeta Dante Alighieri.
Diversi anni fa in compagnia di un caro amico scomparso, estimatore d’arte, giunsi a Palata e adesso, col senno del poi, mi rendo conto della gradita sorpresa che lì mi attendeva e che mi ha portato a fare ulteriori considerazioni che credo siano più che pertinenti in questo giorno dedicato a Dante Alighieri, scelto perché proprio in questa data iniziò il suo viaggio nell’oltretomba.
Nel 1910 un piano urbanistico di risanamento cambiò completamente Palata e il suo vecchio castello che era situato nella parte alta, in una piazza ora detta Piazza Poggio Ducale, a ricordo di quello che era stato l’antico sito.
Dall’attuale Piazza del Popolo che è più bassa, si accedeva alla zona nobile, quindi al Palazzo Ducale, ed era marcata dallo stemma degli Azlor Pallavicino Zapata, duchi di Villahermosa, nobiltà iberica che dominò in Palata dal 1699 al 1806.
Il centro storico doveva essere uno splendore, dalla piazza si saliva al Palazzo, adesso è quasi tutto cemento e asfalto.
Il Palazzo che visitammo apparteneva ad Amodio Ricciardi, l’immenso edificio si compone di ben 23 stanze, tutte vuote e in disuso, con notevoli pavimenti in vecchio granigliato, il maestro lapicida era stato Giuseppe Sacchi.
La residenza dell’illustre famiglia si estende lungo via Ricciardi, una lapide commemorativa fu posta dai palatesi nel 1900, dettata dal pronipote Angelo Vetta, e recita:
Alla memoria imperitura di Amodio Ricciardi
avvocato insigne/magistrato integerrimo/deputato del Molise/al Parlamento napoletano del 1820/ammirato nell’età che fu la sua/per onesto costume/ alto sentimento di giustizia/splendore d’ingegno/patriottismo verace/ebbe dalla Repubblica partenopea uffici ed onori/che scontò con le amarezze dell’esilio.
Il Palazzo fu poi acquistato all’asta coi beni dei Ricciardi da un fratello di Nicola Maria Palombo, arciprete di Palata e usato per destinazioni varie, molto diverse per cui era stato costruito.
Amodio Ricciardi era nato a Palata il 5 dicembre 1756, aveva intrapreso a Napoli l’attività forense e la Repubblica partenopea lo designò Commissario dipartimentale, ma perita la Repubblica riparò come esule in Francia.
Il Ricciardi come Dante provò sì come sa di sale lo pane altrui, e com’è duro calle lo scender e il salir per l’altrui scale.
(versi del Canto XVII del Paradiso).
I versi del Poeta risultano ancora una volta attuali, il suo messaggio è universale, poiché tutto cambia e tutto si evolve.
La terzina dantesca di grande intensità descrive l’angoscia di ogni esule che è costretto a lasciare la propria patria, i propri cari per andare a cercare fortuna in luoghi sconosciuti, incontrando gente diversa, spesso diffidente e ostile.
Tuttavia l’uomo, anche in un mondo orami globalizzato, rimarrà sempre colui che ha bisogno di amore, dei propri cari, delle amicizie e del profumo della sua terra.
La globalizzazione cui assistiamo non lo muterà mai in un essere insensibile, perché i suoi sentimenti lo hanno sempre accompagnato e hanno fatto la nostra storia e ci hanno reso quelli che siamo e che sempre saremo: Italiani!
La fama al sommo poeta già gli apparteneva in vita, della sua epoca e del suo vissuto sappiamo tanto, forse più di tanti altri uomini illustri, perché ci ha lasciato una testimonianza scritta su cosa ai suoi tempi s’intendeva in merito al valore degli uomini pronti a salire a cavallo per andare in battaglia e come fosse inteso l’amore, un sentimento che, parafrasando Guido Guinizelli trova il suo essere nel cor gentile.
Il salone del Palazzo Ricciardi ha pareti completamente dipinte che imitano una carta da parati a righe e una zoccolatura in legno, al centro del soffito è ancor viva la mia sorpresa del dipinto degli inizi del Novecento de L’incontro di Dante con Beatrice, presso il ponte di Santa Trinita a Firenze, del pittore Giuseppe Galluzzi.
Il dipinto si riferisce all’operetta giovanile di Dante, scritta in prosa, in volgare italiano, che sarà la base della nostra lingua.
La narrazione riguarda la vicenda giovanile dell’amore ideale e beatificante di Beatrice e si pone come opera a coronamento della fase stilnovistica della formazione culturale di Dante.
Il poeta incontra Beatrice da bambino, la ritrova nel fiore della giovinezza per poi perderla con una tragica morte prematura.
Questo scritto trascende però l’autobiografia e tende a rappresentare una maturazione interiore che ha valore di esemplare insegnamento.
L’ acquisizione di questa nuova consapevolezza che è il primo amore, quello più puro, deve essere il movente per il rinnovamento della vita stessa, una evoluzione spirituale che da il titolo alla stessa opera, Vita Nova.
I temi iconografici sviluppati dagli artisti di ogni tempo in ricordo del sommo poeta sono in sostanza tre: l’esilio, l’amore per Beatrice e, assoluta protagonista, la Commedia, il capolavoro della tradizione occidentale che G. Boccaccio ha definito divina.
Il soggetto dell’affresco di Palazzo Ricciardi testimonia l’ alta tradizione culturale italiana, non sfuggita al piccolo paese molisano, ma anche la popolarità di questa rappresentazione che fu impiegata per realizzare cartoline illustrate come souvenir a Firenze, a metà tra il pittoresco e il folcloristico.
(nella foto una delle tante cartoline illustrate del 1850 circa).
L’affresco di Palazzo Ricciardi a Palata è stato per me lo spunto ideale per ricordare, molto sommariamente la grandezza di Dante Alighieri. Il sommo poeta, a mio modesto parere, è stato un “grande sognatore”, figlio di un usurario che desiderava appartenere al mondo dei nobili e dei letterati.
Indubbiamente ha dovuto attraversare gli oscuri cunicoli della politica, dove i sacri ideali s’infrangono davanti alla infelice realtà degli odi tra partiti e alla dilagante corruzione; ed è stato una sorta di vittima sacrificale di quel suo tempo, in continuo vagabondaggio derivante dall’esilio che lo porterà a scoprire e vivere pienamente l’incredibile varietà dell’Italia del Trecento, tra grandi metropoli e corti. Ma quel suo desiderio, voluto e perseguito, il suo impegno politico, di studioso e non ultima la sensibilità supereranno il sogno perché ci ha lasciato una testimonianza scritta senza pari nella storia della letteratura italiana se non mondiale.
Concludo, con un mio personale buon augurio in questo orribile periodo per l’umanità tutta , prendendo in prestito l’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia di Dante:
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
E che la speranza sia sempre con noi, quindi non disperiamo.
Adolfo Stinziani