LARINO. Riceviamo e pubblichiamo il nuovo contributo dell’amico ed artista larinese Adolfo Stinziani. E’ la volta di un altro artista come Roberto Cupido e il suo Mosè, ma anche dello stesso Stinziani che ci presenta un arazzo che esprime la sua personale visione della vita, di esperienza vissuta.
“Nell’ambito della rassegna di Arte Contemporanea Molise Art gli artisti molisani propongono due opere esposte al Palazzo Ducale di Larino.
Roberto Cupido nel quadro del Mosè, non solo mostra il suo talento artistico e l’amore per l’arte classica, egli celebra l’arte scultorea rinascimentale italiana, con la sua personale interpretazione di uno dei capolavori di Michelangelo.
La statua del Mosè la possiamo ammirare nella Basilica romana di S. Pietro in Vincoli, fu concepita agli inizi del 500 e completata dopo quarant’anni, è stata commissionata da papa Giulio II per il suo monumento funebre. Il profeta è seduto, la testa barbuta è rivolta sinistra (un aneddoto racconta che il genio la ritoccò abilmente voltandola da destra nella posizione attuale, forse per un motivo di luce), la gamba sinistra è sollevata sulla punta del piede, mentre l’altro piede è saldo a terra.
Il biografo ufficiale di Michelangelo, A. Condividi scrisse di questo lavoro:
infiniti impacci, dispiaceri e travagli, e, quel ch’è peggio….infamia, della quale appena dopo molti anni s’è purgato
ma questa sola statua è bastata a far onore alla sepoltura di papa Giulio II.
L’artista Cupido sceglie significativamente di dipingere solo la parte alta della statua, concentrando l’attenzione sulla espressione del profeta che ha lo sguardo severo, orgoglioso e irascibile, uno sguardo che è stato interpretato come l’indole propria del genio Michelangelo. Le Tavole della Legge destano curiosità, sono rovesciate e in bilico, ma di questo particolare scriverò più avanti.
La figura è essenzialmente incentrata sulla sua austera solennità, e sull’espressione accigliata e “terribile”.
Tuttavia l’artista volontariamente ammorbidisce quella severità con abili pennellate di nuances di blu, ora perlacee, ora luminose, sono gradazioni che vanno dal marino al ceruleo, inoltre sceglie come sfondo il cielo che nella sua resa è al contempo divino e terreno.
Il Mosè, così presentato, è sospeso tra il tema biblico, che trova la sua risposta solo nella fede, e il tema umano, più consono a Michelangelo e palese nell’espressione del volto, così vera e lontana dalla sacralità del profeta.
Michelangelo sembra identificarsi nella umanità del profeta, quella espressione mostra un animo inquieto, il “peccato”, e il furor dell’artista e uomo che si distinse non solo come scultore, ma anche per la sua costante contraddizione tra la prioritaria ambizione e la sospirata grazia divina. Michelangelo volle primeggiare ad ogni costo, e la sua ambizione lo portò a gravi ristrettezze economiche che superò lavorando clandestinamente per le due casate papali rivali del tempo (papa Giulio II e il successore LeoneX, che gli imporrà i lavori della facciata della facciata della Basilica fiorentina di S. Lorenzo).
Con le mani sporche, le unghia rotte e la chioma madida
(cit. biografo) , è costretto a mentire e a scontrarsi con i committenti rivali, e tutto questo lo porterà a un tormento interiore che supererà dopo molti anni. E’ col suo lavoro di sculptor eccelso che placherà il suo tormento e terminerà altresì il capolavoro degli affreschi della Cappella Sistina in soli quattro anni.
Le Tavole che Mosè non scaglia contro il popolo ebreo, che tradisce la propria fede con l’idolatria, sono la chiave di lettura dell’animo del genio Michelangelo, lo scultore è tormentato e sembra vivere col profeta quel momento, ma trattiene il suo astio salva le Tavole e sfoga il suo risentimento spostando la mano sulla sua lunga e saggia barba.
L’artista Cupido ha voluto evidenziare proprio questa parabola per mostrarci il vero Michelangelo, l’uomo fragile e tormentato dalla sua costante ricerca di spiritualità. Inoltre nella tecnica l’artista Roberto Cupido rende un ulteriore e originale omaggio al genio rinascimentale, unendo al colore del fondo polvere di marmo, quella nobile materia che diede gloria eterna al Buonarroti.
Ho vagabondato, respirato e volato nei sette cieli, adesso anelo e attendo l’ottavo, voglio banchettare con nettare e ambrosia.
Adolfo Stinziani
L’opera “Arazzo” dell’artista A. Stinziani è decisamente lontana dalla definizione di quadro, ed infatti rappresenta un arazzo, anch’esso è comunque un’espressione di arte, più propriamente di “arte tessile” che si sviluppò nei Paesi Nordici.
L’arazzo di Bayeux, sec.XIII, ne è il capolavoro, e lo si può ancora ammirare nella cattedrale di Bayeux in Normandia. Esso rappresent in 70 metri di tessuto ricamato una celeberrima battaglia, e la tradizione vuole che sia stato realizzato dalla regina Matilde, moglie di Guglielmo il Conquistatore.
In pieno rinascimento, anche il divin pittore mostrò il suo vivo interesse per l’arte tessile, celebri sono i suoi arazzi di recente restaurati e mostrati al pubblico nella loro sede originale, la Cappella Sistina; ovviamente Raffaello realizzò i disegni e la tessitura fu fatta a Bruxelles, nella bottega di P.V. Aelst.
L’opera di A. Stinziani è “tessuta” in verticale definendo otto quadranti, ognuno contiene simboli diversi, complessi e significativi, la superficie pittorica non è “leccata”, anche per l’uso di un antico e logoro sacco di juta, prevale il materico e l’uso di varie tecniche pittoriche, l’olio, la tempera, l’acrilico, il gessetto, l’argento in conchiglia…..
I colori usati sono tonalità fredde e suggeriscono, in questo caso specifico, armonia ed equilibrio, ma anche contemplazione sia sul piano della composizione che dell’impatto visivo.
L’artista fissa il suo arazzo su una tavola con dei vistosi chiodi, perché non sfugga la sua primaria immanenza, quella umana.
Adolfo Stinziani crede che l’uomo così come l’artista nel suo percorso artistico, deve risiedere e respirare in sette cieli, prima di raggiungere l’ottavo, essi rappresentano, secondo l’artista, dei “percorsi di vita”. I sette cieli sono le tappe obbligate per la maturità e la elevazione morale e spirituale dell’uomo così come dell’artista, e la preparazione all’ottavo, alla perfezione.
Il numero otto su cui è imperniata tutta l’opera è infatti simbolicamente il numero della pefezione, ma innanzitutto dell’infinito, del continuo divenire del ciclo vitale umano:
nascita, vita, morte, è in definitiva il “panta rei” della dottrina eraclitea.
In tempi recenti l’otto è stato definito anche come numero della salvezza (Claude de Saint Martin), del ritorno eterno, della resurrezione, e qui, nell’Arazzo, è il protagonista assoluto, una sintesi espressa in poche tonalità di colori freddi, in una schematica composizione “a griglia”, una sintesi che dipinge nel suo culmine l’unione tra cielo e terra, tra Dio e uomo, una dimensione mistica conquistata e “tessuta” in un arazzo.
L’artista prende spunto anche dal divino capolavoro letterario di Dante, infatti nel Paradiso il sommo poeta illustra i vari cieli dei pianeti, fino ad arrivare all’ottavo, quello delle Stelle Fisse, delle Anime beate e trionfanti.
Ed è tuttora dei nostri tempi , è sempre insito nella natura dell’uomo, il desiderio di progredire, non solo con un mero “movimento fisico”, bensì attraverso un’ascesa dell’anima che può arrivare fino a Dio, purificandosi per gradi; ed in chiave laica solo con una dura salita si può conquistare la maturità spirituale che presuppone sacrificio e contemplazione.
L’Arazzo di Adolfo Stinziani, così “tessuto”, è una personale visione della vita, di esperienza vissuta, essa appartiene a molti ma essenzialmente a persone “illuminate” che vogliono perseguire, aldilà dell’essere e dell’avere, una alta dimensione spirituale”.
Adolfo Stinziani