BONEFRO. Bonefro in fiore. Piante del territorio molisano è il nuovo volume del professore Gildo Giannotti, riceviamo e pubblichiamo volentieri la nota a firma di Luigi Pizzuto di presentazione.
“Franco Arminio, paesologo, poeta della parola, tra i più grandi del nostro tempo, in “Cedi la strada agli alberi” afferma: “Non ti affannare a seminare noie o malanni. Non chiedere altro che una gioia solenne. Non aspettarti niente da nessuno. Aspettati l’immenso, l’inaudito”. Aspettati il miracolo davanti ad un albero, un fiore, un filo d’erba.
Nel volume “Bonefro in fiore. Piante del territorio molisano” di Gildo Giannotti c’è questa sacralità. Contenuta negli aspetti più semplici della natura, generata da una vastissima gamma di piante, erbe e fiori, che, spesso, incrociamo nel nostro vivere quotidiano. Il libro regala magicamente un soffio di vita migliore. Verso cui la società odierna, demolitrice di ogni percezione, sicuramente è molto distratta.
Il volume si apre con una descrizione attenta delle piante molisane, animata da un narrare scientifico senza noia. Tanti sono gli effluvi vivaci che sanno d’antico. Il lessico bonefrano ne esalta i vincoli alle proprie radici. La sintassi espressiva costruisce una piacevolissima enciclopedia che si legge tutta d’un fiato. La pubblicazione editoriale contiene gli articoli di botanica pubblicati in quindici anni di attività sulla rivista “La Fonte” diretta da Antonio di Lalla.
Ogni pagina custodisce tante pillole di cultura. La descrizione, la storia, l’etimologìa, l’uso gastronomico e terapeutico, insomma il sapere e il sapore di ogni fiore, erba o pianta, vengono descritti con una narrazione piacevole. Intrisa di passione e sensibilità senza limiti, che Gildo Giannotti porta dentro di sé da una vita. L’iter della classificazione botanica incuriosisce grazie ad un argomentare scientifico mai freddo. Anzi la scorrevolezza delle voci espressive spinge il lettore ad andare fino in fondo, per avere al più presto una conoscenza completa del nostro patrimonio spontaneo di piante molisane. Come viene annotato puntualmente ricco di curiosità storiche, di misteri, segreti, bellezze, aromi, sapienza popolare. Il testo è bello per questo. Nella sua etica – nascosta e periferica – ci richiama ad un nuovo umanesimo, per parafrasare la poetica di Franco Arminio. C’è un acuto senso rispetto per le piante, che puntualmente calpestiamo o bruciamo con facilità e disinteresse lungo le strade e i sentieri molisani. Ascoltiamo il vento, come si afferma in “Cediamo la strada agli alberi”. “Guardiamo con ammirazione le volpi, il grano e le piante fino a rimanere senza fiato”.
Nell’abisso del nostro corpo rianimiamo i canali emotivi per rendere sicuro e piacevole ogni nostro cammino. Nella ricerca di un equilibrio smarrito, accendiamo la luce come ogni pianta ci suggerisce. Tra le tante storie affascina la descrizione del Sambuco che ci riporta a tempi lontani segnati dalla miseria. Dalle sue piccole bacche nere si otteneva l’inchiostro per riempire i vecchi calamai scolastici. Per fumare si trasformavano i suoi piccoli rami in sigarette. Per i suoi preziosi medicamenti era noto come “Farmacìa degli dei”. Tra i pezzi di racconti curiosi non manca la “Candela del re” ancora oggi simbolo delle dune di Termoli. Il suo nome scientifico è Tasso Barbasso o Verbasco. E’appariscente e carica di fiori gialli. Si piega con i suoi lunghi rami per abbracciare il sole. Lungo il lungomare nord, anche in questo momento, proprio perché fiorisce da maggio a settembre, fa da sentinella ai lidi e alle spiagge anticovid. Il suo fusto serviva ai monaci per fabbricare stoppini per candele o lampade ad olio. Anche gli Svevi, ai tempi di Federico II, la usavano come “candela regia” per dare luce agli ambienti nobili e a quelli di difesa nelle torri e nei castelli. In una biblioteca molisana il libro non deve assolutamente mancare. La realizzazione editoriale è di Betti Edizioni Siena. Bella pure la copertina. Delicata e colorata. Incornicia Bonefro, capitale della fotografìa, tra ritagli di giallo, di fiori e boscaglie. Dove l’acqua, a singhiozzo, fa sentire il palpito di un mormorio dolcissimo. E il sussurro stracolmo di vita di un vecchio detto latino: “Emula me movit”.