L’ultima lettera dall’esilio del Vescovo De Luca ai fedeli della dioce che è in Termoli e Larino.
“A Messa, finalmente!”
Così giorni fa titolava l’Avvenire, dando notizia dell’Intesa tra Governo e CEI che prevede la possibilità di tornare a celebrare, dal prossimo 18 maggio, la Santa Messa con il popolo.
È vero, aspettavamo e abbiamo fortemente desiderato questo momento. No, Gesù: il Suo amore, la sua Presenza e la sua azione, non è mai venuto meno in questi giorni; anzi, per certi versi, ne abbiamo fatto una esperienza ancora più profonda. Ma avvertivamo una certa mutilazione che riguardava la totalità del nostro essere persona, la realtà del nostro essere popolo di Dio.
Certo il tempo della pandemia non lo si può ritenere concluso, ma cominciamo ad intravvedere uno sbocco, come una piccola luce in fondo ad un tunnel ancora da percorrere tutto.
Così leggo e interpreto quel: A Messa, finalmente!
Ritengo anche che non dobbiamo metterci a correre per affrettare l’uscita dal tunnel. La cui lunghezza non si misura in chilometri ma in responsabilità e capacità di pazienza, piena di speranza e anche di impegno fattivo in ordine alla solidarietà.
Per questo esorto tutti, e impegno prima di tutto me stesso, a essere docili e convinti nell’osservare responsabilmente quelle che sono restrizioni e risultano impedimenti ad una piena libertà di partecipazione e di azione, anche nel campo della professione e nell’esercizio della nostra fede cristiana in tutte le sue manifestazioni. In questo non vedo, in realtà, un impedimento alla mia libertà: quella nessuno può togliermela, se non io solo. Emblematico, in tal senso, è l’esempio di tanti testimoni della fede, quali san Massimiliano Maria Kolbe, il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer e il venerabile cardinale vietnamita Van Thuân – solo per citare quelli storicamente a noi più vicini – che pur nella restrizione assoluta di un campo di concentramento o della cella di un carcere, hanno saputo mantenere viva non solo la dignità umana ma anche la libertà personale di poter fare della propria vita un dono per Dio e per i fratelli.
A Messa, finalmente!
Non come semplice ritorno verso la normalità, però: sarebbe troppo poco, vorrebbe dire negare il tempo e lo spazio che abbiamo attraversato in questi mesi. Non è un blackout quello che abbiamo vissuto, ma un tempo di Grazia: i teologi direbbero un kairós, un tempo e uno spazio propizi, abitati da Dio.
A Messa, finalmente!
Con una consapevolezza nuova: maturata attraverso un salto di qualità della nostra relazione con Dio. Quella espressa nelle parole che Gesù, nel suo discorso d’addio fatto durante l’ultima cena, ha rivolto agli apostoli e ai discepoli di tutti i tempi, a noi che …torniamo a Messa, finalmente: “Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici” (Gv 15,15).
Gesù, nel suo gesto di autodonazione totale e gratuita, ci mette alla pari con Lui, ci introduce in una relazione non di dipendenza e di sottomissione (servi), ma ci fa suoi amici.
Questo accade nella Celebrazione della Messa, non per le nostre capacità e le nostre virtù, ma come dono assoluto posto lì da Gesù. Proprio come nell’ultima cena, quando lavò i piedi Pietro, che di lì a poco lo avrebbe rinnegato; e offrì il “boccone intinto nel proprio piatto” a Giuda, che lo avrebbe tradito.
Nel suo totale donarsi per noi e a ciascuno di noi, Gesù ci fa suoi amici.
È questo, per noi suoi discepoli, il modo unico, possibile e vero di relazionarci con Lui: essere suoi amici. Amici perché amati da Lui con lo stesso amore con il quale il Padre lo ama; amici perché fatti partecipi della sua relazione col Padre in ogni aspetto, senza riserve o restrizioni: “tutto quello che il Padre mi ha dato ve l’ho fatto conoscere”.
A Messa, finalmente!
Ad attenderci, sulla soglia della chiesa, c’è il Padre a braccia aperte, desideroso che ci consegniamo al suo abbraccio.
Egli ha per noi un futuro: il suo Figlio unico, Gesù Cristo, si è incarnato, è stato crocifisso ed è risorto. Il Padre vuole che siamo associati a questo mistero. È ciò che avviene in ogni Celebrazione Eucaristica. La casa nostra, il posto che Gesù ha preparato per ciascuno (cf. Gv 14,2), è l’amore che il Padre ha per il Figlio. Lì ci “colloca” la Celebrazione Eucaristica.
È proprio questa rinnovata condizione che ci abilita ad una possibilità di vita tutta nuova: quella dei figli del Padre che sperimentano la potenza della preghiera, – tutto quello che chiedete al Padre ve lo darà (cf. Gv 16,23) – e quella di fratelli capaci di amarsi con lo stesso amore con il quale sono amati: quello di Gesù per noi, che è lo stesso con il quale Gesù è amato dal Padre.
È dentro il contesto della cena coi suoi discepoli, infatti, che Gesù ci ha donato il suo comandamento, quello dell’amore reciproco che ha nel Suo amore per noi la misura. Come a dire che esso è la conseguenza e la verifica di quanto ogni volta celebriamo.
Tutto questo, ed è qui la sorpresa, perché la sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena (cf. Gv 15,11).
Carissimi,
so bene – e lo sperimento anche nella mia vita – che questo salto di qualità a cui vi invito nel partecipare alla Celebrazione Eucaristica, non è il frutto di un ragionamento, o una possibilità legata alla nostra conoscenza del mistero, ma la Verità stessa del gesto che viviamo. È dentro questa Verità che il Padre vuole introdurci. Lo impediamo, però, se ci accontentiamo di “riduzioni” più o meno consapevoli del senso del nostro andare a Messa.
Ricordo quanto scriveva Paolo VI in rapporto alla partecipazione consapevole alla celebrazione eucaristica: “… comprende chi crede e chi ama. L’amore diventa coefficiente di intelligenza, perché è finalmente possesso. Nella conquista delle cose divine più serve l’amore che non ogni altra cosa spirituale.”
In uno scritto autobiografico, santa Teresina del Bambino Gesù racconta in terza persona a proposito della sua partecipazione all’Eucaristia: “Quel giorno non era più uno ‘sguardo’, ma una ‘fusione’, non erano più due, Teresa era scomparsa come la goccia dell’acqua nell’oceano. Gesù restava solo, il padrone, il re”.
Questo non è un caso isolato, riservato ad anime straordinarie. Può essere e diventare un’esperienza comune a tutti noi se viviamo la celebrazione della Messa con quell’atteggiamento suggerito da Paolo VI.
Chiediamolo al Padre da figli, per ciascuno di noi e tutti noi insieme. Gesù ci assicura che l’otterremo.
Bentornati a Messa, che bello ritrovarci!